venerdì 19 aprile 2013

Mitiko Vinicio! 2 – Nostos


Prosegue il viaggio tra le canzoni di Vinicio Capossela ispirate al mito, viaggio che è iniziato QUI

Tra le canzoni “mitike” di Vinicio Capossela contenute nell'album “Marinai, profeti e balene” forse “Nostos” appare come la più semplice da decrittare: gran parte del testo è ripreso dal Canto XXVI dell'Inferno della Comedìa di Dante.

I meno distratti da insegnanti di lettere*, ricorderanno che nella Bolgia dei Consiglieri Fraudolenti (l'Ottava), Diomede e Ulisse dividono una sola fiamma antiqua, puniti per l'eternità per aver portato alla distruzione Troia con l'inganno del cavallo.

E ricorderanno la tipica frase da docente: “Dante non conosceva il greco, e sapeva pochissimo di Omero e dell'Odissea. Le sue fonti, soprattutto Virgilio, gli dicevano che Ulisse era arrivato dalla maga Circe e poi... E poi Dante dovette inventare”.

Così Dante inventa l'ultimo viaggio di Ulisse, il “folle volo”. Una delle più potenti, belle, profonde riflessioni sull'uomo, sul suo destino, sul suo rapporto con Dio.

Ma seguiamo la scelta dei testi che Vinicio Capossela ha fatto.

“Né pietà di padre

né tenerezza di figlio

né amore di moglie

ma misi me per l’alto mare aperto

oltre il recinto della ragione,

oltre le colonne che reggono il cielo,

fino alle isole fortunate,
purgatorio del paradiso

Nostos Nostos
Fino alle terre retro al sol e sanza gente”

Capossela inizia dal terzo verso della narrazione dell'Ulisse di Dante, ovvero dalle motivazioni che non ci furono.
Nè il padre, né il figlio (e questa diade iniziale non ci può far dimenticare che Dante conosce, invece, benissimo Virgilio e la scena della fuga da Troia di Enea), né l'amore per la moglie possono trattenere Ulisse dalla sua sete di conoscenza.
E sta qui la differenza fondamentale tra l'Ulisse Omerico e quello dantesco: il primo viaggia per il Nostos, il ritorno; il secondo viaggia per non tornare.
Ma per andare dove?

Il recinto della ragione”: se la pietà (sentimento filiale e di devozione agli dei) non è sufficiente, anche la ragione non basta. In fondo sta per iniziare un “folle volo”, no? Quanto al “recinto”, è un ostacolo, un limite, ma anche una difesa. La Terra non è forse il Migd-gardr, il “recinto di mezzo” tra il sopra e il sotto? E la ragione non è equilibrio?
Le colonne d'Ercole sono una metafora troppo conosciuta per doverle approfondire: i limiti oltre il quale l'uomo non doveva spingersi. E Vinicio fa un'aggiunta tratta dal mito, sì, ma simbolica: se è vero che una delle colonne è l'Atlante del Marocco, la forma pietrificata del Titano che regge il cielo, il limite è ancora più simbolico. Perché Atlante sifdò gli di, e fu punito, e il Cielo, il Kosmos ordinato, si basa, si fonda, su questa punizione. Non superare i limiti concessi: in fondo Lucifero non era stato punito per la sua superbia?
Le isola fortunate sono un topos fin dai romani. Nell'Atlantico ci sono isole dove l'infelicità non esiste. Thule, Merich, Antilia, Hy Brazil... isole da tempo scomparse, o forse esistite solo nel sogno dei marinai che volevano trovare una casa che non fosse la casa che già conoscevano. Perché chi ha provato l'onda che si muove, mal si adatta alla terra che sta ferma.

E infine l'anticipzione: il “purgatorio del paradiso”. Quello che aspetta Ulisse, se non che per lui sarà, caso unico nella storia, il purgatorio che porta all'Inferno.
E poi il coro che invoca il Nostos, il ritorno che nonci può essere, nelle terre di retro al sole e senza gente. E se non ci abita nessuno, il volere di Dio è ben chiaro prima ancora della conclusione.
"
Itaca ha dato il viaggio

le sue ombre di viti nel sole e nel miraggio

le abbiamo portate dentro

come una bussola

ci ha fatto andare oltre gli incantesimi

e i Lestrìgoni

oltre le lusinghe dell’eterna giovinezza

ma a ritornare ora

la troveremmo vuota di gente e piena di sonno

Itaca ha dato il viaggio, Itaca ha dato il viaggio

l’hai avuta dentro, ma non ci troverai nessuno”

Il secondo blocco è il ricordo, e la delusione del futuro.
Itaca, la petrosa Itaca da baciare belli di fama e di sventura. Itaca ha dato il via al viaggio, come luogo di partenza, da lasciare, e come luogo inziale di ritorno. Come luogo, l'abbiamo già detto, cui non tornare.
Ombre di viti nel sole e nel miraggio”: Itaca è un sogno, un sogno che viene dal vino, dall'illusione che il sole offre ai marinai stanchi. Sempre lontana, sempre inafferrabile come le illusioni, gli incantesimi e i “diversi perigli” di Lestrigoni e altri mostri. Oltre le “lusinghe dell'eterna giovinzza” di una Calipso che l'Odisseo di Capossela incontrerà in un altro brano e che l'Ulisse di Dante non incontrò mai.
Perché Itaca non può essere la vera meta?
Lo ripetiamo: Itaca è un ricordo che non c'è più, è un sogno.
A ritrovarla, ci sarebbe solo la disillusione, senza più nessuno di quelli conosciuti (vivi o morti, che siano. O semplicemente cambiati), ma solo con il sonno che precede la morte.
Itaca è morta? Forse.
Forse è davvero solo la bussola, la motivazione che serve a muoversi eternamente per tornare verso un luogo ritenuto santo, ritenuto felice. Come le Isole Fortunate di sopra.
E allora, forse è meglio non scontrarsi con la dura realtà, mantenere l'illusione dei Nomi e non incontrare mai la delusione dei Paesi, non essere un Narratore proustiano che sa sognare solo a occhi aperti, ma non riesce a dormire, e quindi non sogna mai davvero, non gode il sogno per quello che è: un desiderio che deve rimanere tale.
Meglio non tornare a Itaca.
“Fatti non foste a viver come bruti


ma per seguir virtute e canoscenza

considerate la vostra semenza

considerate la vostra semenza”

Uno dei versi più famosi di Dante. Una trappola: il motto dei satanisti “buoni”. (Ehi, sì, ce ne sono! Hanno un concetto di Lucifero un po' diverso dal Principe delle Tenebre... anzi: per loro è il Principe della Luce).
L'uomo misura di tutte le cose o l'uomo con la sua dignità? Qual è la semenza dell'uomo? Divina o bestiale? Davvero non fummo fatti per vivere come bruti, se il peccato fu mangiare dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male?
“Nostos nostos,
perdere il ritorno

batti le ali,
fare da remi al volo

ali al folle volo!

Fino alle terre retro al sol e sanza gente

fino alle terre retro al sol e sanza gente”.

Battere le ali. Già detto all'inizio del canto, ma dedicato a Firenze nella sua invettiva: “Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande \ che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande”. Capossela rovescia: i remi non diventano ali, come per Dante, ma all'opposto le ali (della fantasia? Del ricordo?) si fanno remi.
Le ali di un volo folle, un volo verso la rovina. Un volo verso l'unica terra del “mondo sanza gente”, la salvezza del marinaio e dell'anima. Una salvezza che però a Ulisse e ai suoi è negata: il ritorno è perduto per sempre.

Capossela taglia qui. Non ci è dato sapere cosa accadrà davvero al suo Ulisse, se tornerà a casa, come vaticina il profeta in “Dimmi Tiresia” (brano precedente a “Nostos” in questo album) o se accadrà quanto dice il ghibellin fuggiasco:

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso"
. **


Però “I fuochi fatui”, brano sempre dello stesso album, termina con la voce narrante di Ismaele: “Il mare ci si richiuse sopra come all'epoca del grande diluvio \ e io soltanto mi sono salvato per potervelo raccontare” .
Forse ai veri marinai, ai capitani co(olt)raggiosi è concessa solo questa fine. 
 



*esseri notoriamente in grado di far odiare il meraviglioso Dante a chiunque
** Nella cultura filosofica di stampo aristotelico la mente umana è rappresentata come una nave. La poppa è la memoria, la prua è la fantasia, o immaginazione.Fonte wikipedia

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