domenica 27 marzo 2011

Il volo di Icaro: Mito o realtà?


La rete è libera, e ci regala informazioni che molti vorrebbero tenere nascoste.
Così vi suggeriamo di leggere questa importante notizia, che sancisce finalmente la fine dell'idea che il mito sia, appunto, solo mito e non realtà.

Tuttavia le prove raccolte ci portano a nuovi, più inquietanti, domande.
Quante altre notizie i media asserviti a una visione oscurantista del mondo ci hanno negate?
(Le inversioni sono necessitate dall'opportunità di un linguaggio atto all'epica dell'evento).

E ancora: viste le conseguenze della scoperta di cui si parla sotto, tali nuove ci vengono celate per la dietrologia che potrebbero suscitare?
A voi la libera riflessione.

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sabato 19 marzo 2011

MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 13 (Dall'Asia Minore con Furore)


Dall'antica Asia Minore, l'attuale Turchia che potrebbe vedere a breve un viaggio in direzione contraria da parte dell'estensore di queste note, due correnti migratorie (forse) sono giunte sulle nostre terre.
Entrambe, in realtà, parlano più dei nostri dirimpettai oltre Tirreno, ma danno due varianti alla colonizzazione della Sardegna.
E con loro abbiamo davvero finito le colonizzazioni mitiche: dopo ci sarà solo la storia, con Fenici, Punici e Romani.
Ma immergiamoci ancora nel mito.

Ricordate Sardo e i suoi Libi? Ricordate come il figlio di Eracle diede il nome alla Sardegna?
Beh, dimenticate tutto, perché c’è una versione molto, molto alternativa al tutto.

Il Timeo di Platone è una delle opere più note del filosofo. Non tanto per il suo valore filosofico (una noiosissima descrizione dei buoni costumi antichi e dello stato ideale), quanto perché lì nasce il mito di Atlantide.
Sì, proprio quella Atlantide di cui ci cantarono De Gregori e Battiato, quella di Martin Mystère e di infinite variazioni moderne.
Forse da Atlantide venne l’esercito guidato da Atlante che sconfisse Forco, re di Sardegna e Corsica.
Ma, direbbe qualcuno di più recente, la Sardegna stessa ERA Atlantide…

Rimandando a momenti più propizi (e più conviviali) la fanta-archeologia, qui accenniamo solo al fatto che il Timeo, come tante opere antiche celebri, fu commentato fin dall’antichità. Così ci sono stati conservati degli “scoli”, annotazioni e glosse a margine dei codici antichi.
Proprio da loro traiamo la “versione alternativa” di Sàrdo, o per meglio dire Sardò.

Solo un accento diverso? Beh, proprio non diremmo. Innanzitutto perché Sàrdo è figliO (= maschio) di Eracle, mentre Sardò era una donna!
E poi, mentre Sàrdo era Libico, Sardò era asiatica, proveniente dalla Lidia.
Ma vediamo chi era più nel dettaglio...

Sardò era moglie di Tirreno, e questo è certo.
Che coincidesse anche con la figlia dell'argivo Stenelo, anche lei dallo stesso nome, e anche lei presunta eponima della città di Sardi in Lidia, beh, questo non è dato saperlo.
Questi, a seguito di una profezia, salpò dalla Lidia e giunse sulle rive del Mar Tirreno. Sua moglie, che già aveva dato il suo nome alla città di Sardis (appunto, in Lidia), lo seguì, e diede il suo nome anche alla Sardegna.
E qui lo scolio introduce un nome per l'isola che non abbiamo ancora visto: Argyrofleps.

Fin qui, solo un’altra versione etimologica, utile per dare un nome al Mar Tirreno, alla Tirrenia\Etruria e alla Sardegna.
Se non che, qualcuna altro ci parla di Tirreno e della sua migrazione, pur senza citare la Sardegna: è quel gran contafrottole di Erodoto.

Secondo lui l'origine degli Etruschi\Tirreni, infatti, va cercata proprio in Asia Minore.
Erodoto, infatti, narra che una devastante carestia attanagliava la Lida: essa durava da ben 18 anni!
Il re Atis, re della Lidia, fece un estremo tentativo di salvare il salvabile trasformando quello che sarebbe diventato poi il luogo comune a Roma: niente panem, ma solo circenses! Infatti prescrisse che i suoi sudditi mangiassero solo a giorni alterni (sic!) ordinando che nel giorno di astinenza si doveva solo giocare.
Ma il cibo non bastava ancora: così decise a sorte di lasciare metà della popolazione nella Lidia con a capo lo stesso re, mentre l’altra metà doveva salpare in cerca di miglior fortuna sotto la guida del proprio figlio Tirreno. Secondo altre versioni a restare in loco fu Lido, uno dei figli, e da lui la zona avrebbe preso il nome di Lidia.
Ma prescindendo su chi sarebbe rimasto in Asia Minore, le fonti concordano che Tirreno si pose a capo dei migranti, partì verso occidente e diede il nome al popolo dei Tirreni e al mare (Tirreno) che bagnava la terra in cui sbarcarono: l'Etruria.
Se la Sardegna sia stata toccata dalla spedizione prima o dopo l'insediamento sulle coste dell'attuale Toscana, questo non è dato saperlo.


Sempre dall'Asia Minore sarebbe arrivata l'ultima ondata mitica di colonizzazione.
Se vi ricordate, l'ultima volta abbiamo detto come tra le popolazioni affrontate da Cartaginesi e Romani, si trovassero gli Iolei, i discendenti di quei Tespiadi digli di Eracle. Ma Pausania li chiama "Iliensi".
E qui scatta (forse) il processo di (ri)costuzione di un mito a partire da un nome: perché Ilienses era riconducibile a Ilium, altro nome della favolosa Troia di Omero.

Già si raccontava che sia Greci che profughi troiani migrarono a occidente dopo quella guerra, e presto a Roma diverrà versione ufficiale di stato il fatto che sulle coste laziali sbarcò l'ultimo campione dei Troiani\Iliensi, ovvero quell'Enea da cui discese la Gens Iulia.
Virgilio nell'Eneide ci parla di coloni troiani rimasti in Sicilia, ma perché escludere che alcuni di questi profughi non si siano insediati in Sardegna?

Servio, il grande commentatore dell'Eneide, in due punti riporta le opinioni del romano Sallustio, che tramandava esplicitamente l'arrivo di coloni Troiani in fuga.
Ma è il nostro turista Pausania a dirci che una parte dei Troiani di Enea, trascinati dai venti, sbarcarono in Sardegna e qui si mescolarono ai Greci già presenti (Ateniesi ed altri sotto la guida dei Tespiadi, e forse dei coloni qui giunti con Aristeo).
Qui ci fu lotta contro i Barbari lì residenti. Chi fossero questi Barbari, qui non è specificato, ma abbiamo visto in precedenza che anche Pausania in altri luoghi aveva già parlato degli Indigeni, dei Liguri\Corsi, dei Libi giunti con Sàrdo figlio di Makeris\Eracle e dei Balari di Norache.
Sta di fatto che il conflitto armato, in realtà, non esplose del tutto: le due forze erano pressoché pari, e tra loro scorreva il fiume Tirso. Possiamo immaginare i due schieramenti che si guardano in cagnesco per un certo lasso di tempo dalla rive opposte del fiume, aspettando che fosse l'altro a fare il primo passo: entrare nel fiume per guadare avrebbe reso lo schieramento attaccante più vulnerabile.
Però secondo Pausania nessuno si mosse, e alla fine ciascuno tornò alle proprie terre.

"Dopo molti anni" giunsero gli "africani", cioè i Cartaginesi. Avevano già fatto una spedizione sull’Isola, con scarso successo, a quanto ci è dato di capire: stavolta tornavano con un esercito in grande stile. I Greci "vennero nello loro totalità annientati", e solo pochi di essi restarono sull'isola.
Poi Pausania sembra far intuire che la fusione tra i due popoli di cui aveva parlato prima (Greci e Troiani) non fosse stata così perfetta: perché se i Greci furono quasi completamente annientati, specifica che i Troiani, invece, si rifugiarono nelle montagne. Qui, occupando montagne di difficile accesso ben protette da opere difensive e da precipizi, i Troiani sopravvivevano ancora ai tempi del nostro ellenico routard (II secolo d.C.) conservavano il nome di Iliesi, anche se si erano imbarbariti ed erano diventati "simili agli Africani nell’aspetto, nell’armatura ed in ogni loro costume di vita".
Anche Pausania, quindi ripete lo schema che abbiamo già visto nella narrazione delle ultime vicende di Tespiadi\Iolei di cui ci parla Diodoro Siculo.

Dove sta la verità mitica? Mungere troppo le scarse informazioni che abbiamo può portare solo ad illazioni e ipotesi poco verificabili con lo strumento della mitologia.

Ma su una cosa tutti i mitografi concordano: in tanti volevano andare in Sardegna, e l’isola del mito era una terra felice e ricca. Nella contemporaneità degli scrittori, però, era diventata solo una terra di sfruttamento, da parte dei Fenici prima e dei Romani poi.
La Sardegna entrava nella storia con quel ruolo: e forse lo mantiene ancora oggi.

lunedì 7 marzo 2011

MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 12

Ed ecco l’ultimo post (davvero!) sui Tespiadi in Sardegna.
Li abbiamo lasciati orfani del loro pater spirituale, cioè Iolao, ma ben insediati nelle regge dell’isola, ricchi e indipendenti.

Il solito Diodoro Siculo ci dice che la colonia ricevette un oracolo, presumibilmente prima della partenza: tutti coloro che avessero partecipato alla spedizione sarebbero rimasti per sempre liberi.
Lo stesso Diodoro, che ha vissuto intorno all’inizio del I secolo a.C., si stupiva che “contro ogni aspettativa” l’oracolo si fosse rivelato corretto fino ai suoi tempi, nonostante gli attacchi dei Cartaginesi e dei Romani.

Ma Diodoro ci informa anche che qualcosa era cambiato: i discendenti dei Tespiadi, che erano stati signori dell’isola per molte generazioni, alla fine erano stati cacciati dal loro popolo.
Lo storiografo\mitografo non ci da’ le ragioni: si limita a dire che i discendenti di Eracle lasciarono l’isola e giunsero nella costa campana, più precisamente nei dintorni di Cuma. Gli Iolaei rimasti scelsero come capi gli aristoi, e continuarono a difendere la loro libertà.
Chi erano questi aristoi? Erano stati scelti al momento della rivolta, o c’era già una nobiltà al di sotto delle famiglie regnanti dei Tespiadi?
Le risposte possono essere solo ipotesi.

Sta di fatto che per Diodoro, gli Iolaei persero lo splendore che li aveva contraddistinti nell’epoca dei Tespiadi. Si imbarbarirono, e per salvaguardare la loro indipendenza dagli stranieri lasciarono le ricche coste e le pianure Ioalee per rifugiarsi nell’interno. Qui, grazie all’asperità del terreno e a quelli che Diodoro definisce “inestricabili sotterranei”, tutte le spedizioni cartaginesi terminarono in un fiasco: in un altro punto, lo storico fa capire che queste dimore sotterranee, antenate del maialetto e del fil di ferro di epoche più recenti, erano pressoché introvabili.
Quando poi arrivarono i Romani (da 238 a.C.) la situazione non cambiò: nonostante i ripetuti trionfi su Sardi e Corsi, per Diodoro queste popolazioni non furono ami davvero sottomesse, anzi.

In un altro passo, infatti, Diodoro aggiunge che gli Iolei si erano rifugiati sulle montagne; lì avevano costruito dimore sotterranee di cui abbiamo detto sopra e allevavano mandrie che li rendevano autosufficienti: da buon greco (e siceliota, per di più), Diodoro vede una regressione nell’abbandono dell’agricoltura a favore di una preponderante pastorizia. Questi sardi “imbarbariti” si accontentavano di consumare latte, formaggio e carne e, abbandonata la pianura, “evitavano la fatica del lavoro dei campi”.
Diodoro ci dice altrove che questo ritorno alla barbarie fu dovuto proprio all’assenza della “mano greca” dei Tespiadi, perché i barbari erano numericamente superiori ai coloni greci, presto li assorbirono. Ma questa “barbarie” non doveva essere poi così terribile: per Diodoro, alla fine i Sardi trascorrevano una vita senza pene paghi dei menzionati cibi.
Ma non di sola carne vive l’uomo, e così Strabone (vissuto tra il 63 a.c. e il 20 d.C), ci dice che le parti fertili dell’Isola, ancora in epoca imperiale, venivano continuamente saccheggiate dagli abitanti delle montagne, chiamati Diagesbei, “mentre un tempo erano chiamati Iolei”.

L’altra nostra fonte più ampia, Pausania, ribadisce che la “protezione delle montagne” garantì a Iliesi e Corsi la salvezza dalla flotta cartaginese. E aggiunge che furono i punici, e non i precedenti colonizzatori, a edificare Karali e Sulci.
Edificare o riedificare?
O, semplicemente, come accadrà millenni dopo ad Alghero, sgombrare le principali città dagli abitanti locali per sostituirli con coloni punici?
Altre ipotesi che non possono trovare una risposta definitiva.

Ma attenzione: abbiamo detto che se Diodoro parla sempre di Iolaei (poi rinominati Diagesbei, secondo Strabone), Pausania parla di Iliesi, come il geografo Pomponio Mela.
Una piccola differenza di pronuncia, di trascrizione o qualcosa di più?
Nel mito le parole, le sfumature sono importanti. Alcuni miti sembrano nati da etimi sbagliati…

Torniamo a Strabone: secondo lui “barbari” dell’isola, poi unitisi ai Tespiadi, erano Tirreni. E di questo dovremo parlare, anche se il fatto che i due popoli abitavano le due sponde dello stesso mare avrà di certo condizionato questa teoria.

Ma più interessante è ciò che dice Pausania. Parlando delle spedizioni dei Cartaginesi sull’isola, dice che essi annientarono quasi completamente gli Elleni, cioè gli Iolei. Ma, e qui sta la sorpresa, gli Iliei (non Iolei) dell’epoca dello scrittore non erano i sopravvissuti degli Elleni, bensì… dei Troiani!
Sì, proprio i Troiani si rifugiano nei “luoghi alti dell’isola” e nelle montagne “dal difficile accesso”, protette da opere difensive e precipizi.
Silio Italico, poeta del I secolo d.C. conferma e chiarisce che non si trattava di una svista, ma di una precisa linea della tradizione mitica: i Teucri (altro nome dei Troiani) sarebbero giunti in Sardegna “gettati dal mare” (naufragati? Dopo una tempesta?), e qui li raggiunse Iolao con i suoi Tespiadi.
Non che questi Teucri\Iliei abbiano un destino diverso: anche per Pausania si imbarbarirono, divenendo simili ai Libi nell’aspetto, nelle armature e in ogni altro costume di vita.
Ma questi “Libi” cui assomigliavano, chi erano? I Cartaginesi? O i Libi di Sardo che forse erano al “componente più numerosa” che aveva assorbito i greci (e, a questo punto, i Troiani)?

Ancora una volta le risposte possono essere solo frutto di ipotesi.

Ma di Sardi\Tirreni e di Sardi\Troiani, ne parleremo prossimamente.

sabato 12 febbraio 2011

MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 11

Ancora un post sulle imprese di Iolao e dei Tespiadi in Sardegna, per raccontare come nacque la Sardegna mitica.
Un post in cui si parlerà di ricchezze, miracolose resurrezioni, ringiovanimenti, guerre e decapitazioni.

Abbiamo visto come Iolao fu un grande costruttore di ginnasi, tribunali e tholoi (i nuraghi?) con l’ausilio, secondo alcuni, di Dedalo.
Secondo una corrente che segue Sallustio, ripresa anche da Pausania, Dedalo era già in Sardegna: era giunto con la migrazione di Aristeo, ma questo non esclude che abbia in seguito lavorato anche per Iolao.
Sta di fatto che se ne andò: migrò verso Cuma, dove edificò un tempio ad Apollo in cui raccontava la sua vicenda e lo sventurato volo di Icaro. Così ci dice Servio, così aveva narrato Virgilio.

E la colonia di Iolao? Prosperava.
Il solito Diodoro ci dice che Iolao, vinti gli Indigeni, lottizzò la terra, dividendola e migliorandola. La pianura (il Campidano?) si chiamava ancora Ioaleion all’epoca del nostro scrittore siculo, e Diodoro aggiunge che Iolao si diede da fare per bonificare le terre e piantarvi alberi da frutta.
La Sardegna divenne talmente ricca che quella fu la sua rovina. Diodoro ci anticipa che l’isola acquistò una tale fama di ricchezza che i Cartaginesi, secoli dopo, “per essa sopportarono molte lotte e avversità”.

Possiamo immaginare Iolao, vecchio ma soddisfatto, destinato a trascorrere in serenità i suoi ultimi giorni nella sua colonia, fiorente e famosa… ma anche no.
Sempre Diodoro, infatti, ci dice che tornò in Grecia e poi, di ritorno verso l’Occidente, si fermò in Sicilia. Lo accompagnavano alcuni dei Tespiadi, che si fermarono in Sicilia, si mescolarono ai Sicani e furono da questi straordinariamente onorati.

Il nostro Iolao avrebbe fatto di tutto per aiutare i figli di Eracle, ovunque si trovassero, e per “sistemarli” in posizioni di prestigio.
Anche in vecchiaia, o addirittura dopo la morte (!) Iolao era pronto a dar loro una mano.

Si racconta, infatti, che il perfido Euristeo, re di Micene e persecutore di Eracle, dopo la morte dell’eroe attaccò i suoi figli indifesi. Iolao accorse a difenderli, con l’aiuto (ancora una volta) dei soliti Ateniesi.Pare che Euristeo fosse un gran vigliacco: ogni volta che dava a Eracle una fatica da compiere, sperava che ci rimanesse secco. E quando l’eroe tornava con la sua bella preda, il re di Micene correva a nascondersi al sicuro in una bella giara di bronzo. Ma i figli di Eracle, a suo giudizio, non dovevano essere così pericolosi come il padre…
E invece l’esercito di Micene fu sconfitto, e Iolao inseguì Euristeo e lo catturò; portò quindi il prigioniero da Alcmena, la madre di Eracle e chiese cosa farne: Alcmena ordinò che fosse decapitato e Iolao eseguì la sentenza.
Fin qui nulla di strano. Se non che una variante ci dice che all’epoca Iolao era vecchissimo o addirittura già morto!
Il mito ce lo descrive defunto in Sardegna, ma da buon “dormiente sotto la montagna” (guardate le note per sapere cosa intendo!), fu resuscitato proprio per l’impresa…
Una variante più “razionalistica” (e mai le virgolette furono più appropriate di questo caso) racconta che non era esattamente morto, ma solo vecchissimo (sic!). In vista del pericolo, Ebe, la divina moglie di Eracle e dea della giovinezza, gli restituì per un giorno forza e gioventù per eliminare il nemico del celebre zio.

Sia come sia, prima o poi Iolao arrivò o tornò alla morte. Gli onori tributati furono grandissimi: i Tespiadi lo onoravano come progenitore, col titolo di “Iolao Padre” (il Sardus Pater?), offrivano a lui sacrifici come un dio, gli eressero templi e gli riconobbero onori degni di un eroe.
Ma quali Tespiadi?
Non dimentichiamo che alcuni rimasero a Tebe…
E parlando di Tebe Pausania ci dice che proprio in quella città, davanti alle Porte Pretidi, presso lo stadio e il ginnasio, i Tebani indicano un edificio come l’heroon di Iolao. L’heroon è un monumento eroico, che di solito conteneva il corpo dell’eroe defunto.

Ma Pausania stesso ci rassicura: Tebani riconoscevano che Iolao, i Tespiadi e gli Ateniesi che con lui fecero la migrazione, giacevano morti in Sardegna. Sull’isola vi erano luoghi chiamati (ancora una volta!) Iolaei dove Iolao riscuoteva onori dagli abitanti.
E Solino rafforza il concetto: gli Iolesi aggiunsero un tempio al sepolcro dell’eroe perché, simile nel valore allo zio Eracle, aveva liberato la Sardegna da moltissimi mali non meglio precisati.
Iolao e i Tespiadi sono forse gli stessi “uomini addormentati in Sardegna […] accanto agli eroi” di cui ci parla Aristotele e dietro cui si intravede il rito dell’incubazione che veniva effettuato, con ogni probabilità, nelle Tombe dei Giganti?

Sta di fatto che i Tespiadi regnarono a lungo sulla Sardegna. Ma di questo parleremo nel prossimo post, l’ultimo (promesso!) dedicato alla colonizzazione dei nipoti di re Tespio.


Alcune piccole note…
Cosa intendo con il “Dormiente sotto la montagna” riferito a Iolao? Varie leggende parlano di un re che sembra morto, ma in realtà dorme in un luogo al confine con il mondo dei morti (spesso una montagna) in attesa di tornare per aiutare il suo popolo nel momento del supremo pericolo. Così si dice ad esempio per Artù, ma anche per Federico Barbarossa. Altre versioni dicono che Iolao era presente al rogo funebre di Eracle: la spedizione in Sardegna sarebbe stata fatta, quindi, dopo la morte del grande zio. Ma i mitografi che ci parlano direttamente della colonia, sembrano far capire che Eracle era ancora vivo quando Iolao partì. Una versione discordante della fine di Euristeo dice che fu Illo, figlio di Eracle, e non il cugino Iolao, a uccidere il re di Micene.

domenica 6 febbraio 2011

MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 10


Nel precedente post abbiamo lasciato in sospeso una domanda: quali trasformazioni furono fatte in Sardegna da Iolao e dai suoi cugini Tespiadi?
A queste righe il compito di rispondere.

Immaginiamo di essere dei mercanti greci che arrivano in Sardegna dal mare, in un giorno qualsiasi tra la fin dell'età del bronzo e la piena età del ferro. E' la nostra prima volta sull'isola, e probabilmente la nostra attenzione forse non sarà catturata dalla bellezza del mare e dalla sua pulizia: in fondo l'inquinamento pesante è ancora di là da venire per le coste di tutto il Mediterraneo.
Probabilmente, arrivando con una nave mercantile, non vedremo neppure una massa guerrieri coperti di bronzo aspettare bellicosi e sospettosi il nostro sbarco. Troveremo quasi sicuramente ma altri mercanti interessati alle nostre merci, il popolo interessato ad acquisti e vendite, qualche inviato del signore locale.
No: la nostra attenzione sarà sicuramente attirata delle grandi torri di pietra, diffuse sulle coste e all'interno dell'isola, tanto da caratterizzarne il paesaggio nei punti strategici. Quelle torri oggi sono in parte sopravvissute quasi solo all'interno dell'isola, senza cima, senza intonaco, senza i colori che probabilmente un tempo le rendevano e visibili. Perché quelle torri, dette Nuraghi, erano quasi sicuramente un luogo di potere, che doveva essere visto e notato. Minacciose per i nemici, rassicuranti per sudditi e alleati.

Sbarcati, ci inoltriamo nell'isola e scopriamo che queste torri sono dappertutto. Ciclopiche come le mura di Tirinto e di Micene, simili alle sotterranee tholoi dai tetti a volta degli Achei, ma costruite FUORI dal suolo. Un'opera immensa, incredibile, fatta con una perizia e uno straordinario rapporto delle proporzioni che non si trova facilmente nelle diverse regioni che si affacciano sul Grande Mare Interno.
Chi le può avere costruite? I signori dell'isola, ci dicono.
Ma chi sono i signori che hanno tanto potere, tanta ricchezza? E chi è stato l'architetto che ha ideato tali fortezze, residenze, magazzini e quant'altro?
Siamo Greci, e non possiamo concepire che nulla di straordinario possa essere stato fatto da chi non ha sangue greco nelle vene.
Quindi ragioniamo. Forse qualche punico ci parla dei signori dell'Isola come discendenti di Melqart, forse i signori stessi si definiscono figli del grande dio dell'Occidente. Noi greci, più saggi e più dotti, sappiamo che dietro Melqart e dietro i tanti dei della direzione dove il sole tramonta, si nasconde il nostro grande eroe: Eracle.
E dietro il piano di quelle torri, non può esserci una lunga genia di artigiani costruttori che si passano informazioni e sperimentano tecniche per secoli e secoli. No. un solo uomo, un greco, solo lui può avere avuto la stessa genialità costruttiva che ha utilizzato per fare il grande palazzo di Creta chiamato Labirinto, tanto complesso da rendere impossibile uscire se non si ha una guida. Questo genio dell'antichità è Dedalo, Ateniese.
E questo racconteremo ai nostri compatrioti quando torneremo nell'Ellade: esiste un'isola ricca, al centro del Mediterraneo Occidentale, abitata dai figli di Eracle, quegli stessi Tespiadi di cui si racconta la migrazione; e per loro Dedalo costruì delle favolose tholoi e ginnasi per gli esercizi ginnici, e tribunali, e città.

Non molto di diverso dice il mito dei Tespiadi.
Narra Diodoro che dopo la conquista dell'Isola, Iolao, figlio di quell'Ificle che fu fratellastro di Eracle, lottizzò il territorio per far sviluppare l'agricoltura, fondò città, edificò ginnasi, templi e "tutto ciò che rende felice la vita degli uomini". Dal nome del capo le pianure più belle furono chiamate "Iolaee" fino all'epoca di Diodoro (90 a.C. circa), e sempre in onore del figlio di Ificle, il mix tra Tespiadi, coloni greci e precedenti abitanti dell'isola, prese il nome di Iolaei: i tespiadi, infatti, onoravano Iolao come se fosse un padre.
In un altro punto, sempre Diodoro ci aggiunge che Iolao non ideò tutto personalmente, ma mandò a chiamare dalla Sicilia l'architetto Dedalo che, come abbiamo visto, dopo aver causato la morte di Minosse, aveva bisogno di "cambiare aria". E gli edifici esistevano ancora all'epoca di Diodoro, ed erano chiamati "Daidaleia" dal loro ideatore.

Come detto per Diodoro durante la spedizione Iolao fondò anche importanti città. Ma quali?
Pomponio Mela ci riferisce che tra gli abitanti più antichi dell'isola c'erano gli Iliensi (forse una versione degli Iolaei), e che fra le prime città ci furono Karalis e Sulci. Il passo sintetico forse lascia supporre che le due principali città dell'isola fossero in qualche modo legate a Iolao e ai suoi Iolaei\Iliensi.
Ma noi sappiamo che Karalis, in altre versioni, è fondazione di Aristeo, e anche Nora, fondazione di Norache, doveva essere stata già edificata all'epoca di Iolao. Se Karalis non va attribuita a lui, Sulci era fondazione di Iolao? O, semplicemente, vogliamo ricavare troppo dallo stringato passo di Pomponio, che vuole solo indicare due tipi di antichità (del popolo e delle due città), senza però voler stabilire un legame tra le due cose?
Gli altri autori non ci aiutano. Diodoro, l'abbiamo visto, è generico.
Pausania non chiarisce e anzi sposta addirittura l'attenzione dal sud dell'isola (il "capo di sotto") al nord (il "capo di sopra"). Per lui, infatti, le fondazioni urbane sotto i Tespiadi furono due: Olbia e Ogrille, edificata dagli ateniesi che partecipavano alla spedizione in onore di uno di loro, chiamato Ogrillo.
Solino, autore del III secolo d.C., ribadisce la fondazione di Olbia da parte di Iolao, ma aggiunge che l'eroe fondò "altre città greche". Ma quali?
In conclusione intuiamo che per il mito la vera urbanizzazione della Sardegna, più o meno sistematica, va fatta risalire a Iolao e ai Tespiadi: essi fondarono Olbia e "altre città", ma non è dato sapere con sicurezza quali.

Tra gli edifici, oltre alle "tholoi" e ai tribunali, gli autori ricordavano i ginnasi, le palestre tipicamente greche. Ce li ricorda Diodoro insieme agli altri edifici, ma altri autori ci danno qualche informazione in più.
Un commento a un'ode di Pindaro riporta un precedente commento fatto da Didimo. Sì, proprio il letterato che ispirò il "Didimo Chierico" di Foscolo. Didimo avrebbe detto che a Tebe, nel ginnasio di Iolao, gli Eraclidi svolgevano delle gare in memoria di Anfitrione, il padre putativo di Eracle. Iolao stesso faceva in quelle occasioni delle onoranze funebri in onore di una persona lontana ma "in realtà il ricordo di Iolao era rivolto alla Sardegna".
Cosa significa questo passo riportato da un commentatore di un commentatore?
Sembra di intuire, assieme alle altre informazioni che abbiamo, che il culto eroico di Iolao era legato ad attività sportive. E questo non è strano: i giochi funebri in onore di un personaggio illustre erano la norma nel mondo eroico. Ma possiamo spingerci a dire che le gare erano una caratteristica specifica di Iolao, e che per questa ragione gli autori mettono l'accento sulla presenza in Sardegna di ginnasi creati dal figlio di Ificle? In fondo non dobbiamo dimenticare che nella prima edizione delle Olimpiadi e poi nei giochi in onore di Pelia, Iolao fu il vincitore della gara più prestigiosa, quella della corsa col carro.

Il nostro giramondo Pausania, parlando di Tebe, riferisce come nella città sorgessero un ginnasio e uno stadio, davanti alle porte Pretidi. Lì, secondo i tebani, si trovava l'heroon di Iolao. Insomma: la tomba eroica di Iolao era ancora una volta legata a gare sportive.
Eppure gli stessi tebani, sempre secondo Pausania, riconoscevano che le vere tombe di Iolao, dei Tespiadi e degli Ateniesi andati con loro, si trovavano in Sardegna.
A questo punto occorrerà narrare cosa sia accaduto ai nostri protagonisti dopo il grande periodo della colonizzazione.
Ve lo racconteremo nel prossimo post.

domenica 30 gennaio 2011

MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 9



Dopo la lunga pausa dovuta a festività più o meno pagane, riprendiamo la narrazione dei miti che parlano dell'arrivo dei primi abitatori della Sardegna.
Ci eravamo fermati nel bel mezzo della spedizione dei Tespiadi, i figli di Eracle, e da lì ripartiremo.

L'arrivo dei Tespiadi pone alcuni problemi: chi furono i membri della spedizione? Quali furono i rapporti con gli indigeni? Come si trasformò l'isola al loro arrivo?

Partiamo dalla composizione della nuova spedizione di colonizzazione.
Come abbiamo detto, dalle fatiche amorose del grande Eracle gli nacquero 50 figli dalle 50 figlie di Tespio re di Tespie. Bene: 40 di questi figli furono inviati dal padre verso la Sardegna per costituire una colonia. Un oracolo l'avrebbe ordinato all'eroe, ed Eracle fu ben lieto di obbedire.
Alla loro guida c’era il fedelissimo cugino Iolao, il nipote preferito di Eracle.

In realtà, gli scoli (commenti) a Dioniso ci danno una versione che vede addirittura Eracle in persona a guidare la spedizione. L’eroe sarebbe riuscito a unificare in un solo popolo i figli e i Sardi, e successivamente avrebbe mandato rinforzi dalla Grecia.
Questa seconda ondata comprendeva i Cadmei (ovvero tebani abitatori della rocca della città), gli Etoli e i Locresi. Insomma: con Eracle sarebbe partito il fior fiore delle genti della Grecia Centrale.
Il solito Pausania, il nostro autore di guide turistiche, aggiunge ai migranti anche gli Ateniesi. Anzi: per lui la spedizione partì proprio dall'Attica.

Sia andata come è andata, qualunque popolo si fosse aggregato a questa ondata migratoria, si trattava un'insieme di genti composite. Tuttavia, una volta arrivati in Sardegna, le diverse anime della spedizione spariscono sotto la dicitura generica di Iolei.
E poiché questo nome per i mitografi è legato al nome di Iolao, seguiremo la corrente principale della tradizione che vede appunto Iolao come la guida della spedizione, e non il più celebre zio.

Secondo Diodoro i Tespiadi erano guidati da Iolao per varie ragioni: i Tespiadi erano molto giovani (anche se partirono quando avevano già raggiunto l'età virile), e questo comando era una sorta di premio a Iolao, che aveva partecipato a quasi tutte le imprese di Eracle

La spedizione giunse in Sardegna, apparentemente senza grandi difficoltà. Ma, come raccontato, l'isola non era una terra vuota: varie ondate di migrazione avevano preceduto i tespiadi.
Quali furono i rapporti tra gli Eraclidi\Tespiadi e gli abitatori precedenti?

Secondo la versione vista prima, data dagli scoli a Dioniso, Eracle pacificò i Sardi e i nuovi arrivati.
Il filone che riferisce che a capo della spedizione c'era Iolao, invece si divide in due rami: il primo parla di una fusione con gli Indigeni che appare pacifica, coerentemente con ciò che dice lo scoliasta di Dioniso; ma la seconda parla di guerra.
Il primo ramo della tradizione è seguito da Strabone: il geografo greco ci dice genericamente che i Tespiadi "abitarono insieme ai Barbari che allora occupavano l’isola" (ricordiamo che per Strabone questi abitanti precedenti erano Tirreni). Così anche Solino: per l'autore del III secolo d.C. Iolao ottenne "con lusinghe che gli animi divisi degli abitanti giungessero alla concordia" e poi procedette alla fondazione di città.

Ma il siceliota Diodoro la vede in modo diverso: innanzitutto Iolao arrivò con "un grosso esercito di Greci e di Barbari", e poi chiarisce che la colonizzazione avvenne solo dopo che Iolao "vinse in battaglia gli Indigeni"; in un altro passo ribadisce che Iolao "conquistò l’isola".
L'aspetto bellicoso non è trascurabile: la fondazione della colonia era, per gli antichi, un atto di rivendicazione di una terra. Abbiamo già visto dei migranti che "tornano" nelle terre degli avi, rivendicandone il possesso.
Dioniso ricorda che, sulla scia delle sue spedizioni a Ovest durante alcune delle sue leggendarie fatiche (in particolare quelle alla ricerca dei Pomi delle Esperidi e dei buoi di Gerione), Eracle riteneva di dover essere considerato il Signore di tutto l’Occidente. L'invio dei figli doveva sembrare una sorta di "spartizione del patrimonio paterno" anticipato.

L'arrivo di questi Greci figli di Eracle fu dunque pacifico o no? Rimanendo nel puro ambito del mito, senza addentrarci nelle complesse (e dibattute) interpretazioni scientifiche degli studiosi, la risposta non può essere definitiva.
Possiamo però ricordare che Diodoro Siculo, oltre ad essere un autore più antico di Stabone e Solino, era, appunto, originario della Sicilia. Oltre alla vicinanza fisica con la Sardegna (che ipoteticamente gli avrebbe potuto permettere consentito una indagine personale "sul territorio"), aveva accesso a scritti risalenti all'epoca Cartaginese, che quindi avevano versioni differenti da quelle più filo-romane e grecizzanti successive.

Ma comunque si sia svolto l'arrivo della spedizione, tutti i mitografi concordano con il "dopo": l'isola fu sottomessa da Iolao, riorganizzata, e raggiunse uno sviluppo mai visto prima.
Scomparvero (quasi tutti) i nomi precedenti di popoli: il nuovo popolo che si formò dall'unione tra coloni greci e abitatori precedenti prese il nome di Iolei (anzi: Iolaei), da Iolao. Oppure di Iolesi, come dice Solino. Oppure di Iliensi, nome simile, ma riconducibile anche a un etimo diverso, altrettanto affascinante, di cui parleremo più avanti.

Per ora basti questo: la colonia era stabile, la popolazione si stava fondendo. Iolao voleva trasformare la Sardegna, farle fare un balzo "in avanti". E questo ci porta alla terza delle domande che abbiamo posto all'inizio di questo post.
Ma la risposta la vedremo la prossima volta.


Alcune piccole note…
Se i Tespiadi erano 50 e solo 40 di essi partirono verso la Sardegna, che accadde agli altri 10? Apollodoro ci dice che sette restarono con Eracle a Calidone, e tre furono rimandati a Tebe, città natale (secondo una versione) del glorioso padre.
I numeri non corrispondono in Diodoro Siculo: questi dice che solo due furono rimandati a Tebe, e che gli altri partirono con Iolao. ma uno in più o uno in meno, la sostanza non cambia poi tanto...

domenica 9 gennaio 2011

VARIAMENTE MITICI



Di ritorno dalle feste pagane dedicate alla nascita del Sol Invictus, prima di apprestarmi alla narrazione delle vicende di Iolao e dei Tespiadi nella colonizzazione della Sardegna, passo in edicola.
E vedo "Mythos", la nuova raccolta a fascicoli della DeA.
Ovviamente non posso che comprare il primo numero e vedere se dovrò, ahimè, aprire un mutuo per seguire un'iniziativa potenzialmente interessante.

Il prezzo di partenza mi risulta spiacevolmente più alto: 2,99 euro per il primo numero, invece dei soliti 1,99. Sarà la crisi, mi dico, anche perché i numeri successivi rientrano in un più "tradizionale" prezzo di 10,99 euro a numero.
Comunque l'edicolante non si preoccupa neppure di dirmi "mi dispiace, non ho il centesimo di resto", (risposta di default: "non si preoccupi"). Sì, direi che c'è la crisi, e che a questo punto potremmo anche finirla con l'ipocrisia pubblicitaria dei X euro,99 (avete notato come un po' di tempo fa non era X,99 ma X,90? Sempre la crisi...).

Lo schema dell'opera è quasi un classico: fascicolo + gadget (in questo caso miniatura dipinta a mano di mostri, dei ed eroi).
Sulla prima miniatura (il Minotauro) poco da dire: carina, ben fatta, pesante il giusto tanto.
Ma visto che i miei scaffali sono strapieni e che, (ennesimo) ahimè, non faccio più le battaglie con i soldatini di un tempo, non può essere la miniatura il traino per i miei acquisti successivi.

Apro quindi il fascicolo: si inizia con dichiarazioni varie dell'autore della (bella) illustrazione da cui si è tratta la miniatura, e intuiamo che proprio le illustrazioni e la miniatura sono state ritenute il punto forte dell'opera.
Quindi un racconto inedito sul "mostro" in questione, di autore non dichiarato nè all'inizio nè alla fine (lo si trova nei credit complessivi della collana, e ciò non depone a suo favore). Il racconto non è granché: "La casa di Asterione" di Borges, evidentemente, costava troppo in diritti.

Poi c'è la sezione "Dentro il mito": le solite varie notizie sparse, qualche tavola genealogica, la solita impaginazione "accattivante" alla Focus. Il contenuto è più o meno quanto potete trovare in questo nostro post... e nei successivi della serie.

Infine l'ultima sezione "Oltre il mito": una stringata pagina in cui si dà notizia di riletture succssive e si fanno collegamenti anche un po' azzardati. Va bene il "doppio labirinto" di Shining come erede di quello di Creta, ma vedere in "Alien" un epigono del nostro mostro, pare un po' eccessivo.

Molto meglio un altro fascicoletto: la tavola genealogica "globale" tratta dalla Teogonia di Esiodo appendibile (presto sarà appesa) al muro. Bonus solo per il primo numero, ci viene detto.

Per il resto, la prima uscita si completa con materiale sostanzialmente pubblicitario che magnifica l'abbonamento a prezzo bloccato, con lo sconto sulla seconda\terza uscita e l'indispensabile leggio da tavolo (in plastica?) in omaggio.
Già visto tutto.

Che dire?
Si tratta di un'opera sicuramente divulgativa, ma di un divulgativo di livello medio-basso. Insomma: destinato a chi ha vagamente udito parlare del Minotauro (o di Nettuno\Poseidone, o di Medusa), e che ne vuole cogliere le notizie più semplici e lineari. Grafica nello standard che ormai si è diffuso (box, immagini con testo commentato, etc.), ma che a mio giudizio talvolta confonde più che chiarisce.
Il prezzo è tarato su opere simili, ma il rapporto qualità\prezzo per chi "volesse un po' di più" è decisamente poco attraente.

Io, per lo meno, mi sono evitato un nuovo mutuo.