sabato 31 luglio 2010

MITOLOGIA COMPARATA - Migranti


In quest'epoca di spostamenti, voluti o non voluti, graditi o odiati, desiderati o temuti, spesso il concetto di nazionalità si ritiene minacciato dall'arrivo di altre "nazioni" esterne, dell'altro "invasore".
Lungi da me esprimermi sull'attualità: in questo blog si trattano i miti, l'eterno ritorno (nessuna ironia voluta con l'argomento del post) nella creazione delle storie dell'Uomo.

Tante volte, però, oggi si fa richiamo a un passato più o meno glorioso, a sacralità di terre patrie, a destini che legano indissolubilmente stirpi e luoghi, come se questi fossero immutati e immutabili, scolpiti sulla pietra dei Dieci Comandamenti.

Bene, se una cosa ci insegnano i miti, è che questo concetto di immobilità non esiste.

Uno dei grandi filoni di quasi ogni mitologia, è quello che racconta l'origine di un popolo (anzi, spesso dell'unica stirpe che si possa autodefinire "Popolo degli Uomini"), e queste origini sono (quasi) sempre... risalenti a una migrazione da altrove.
Proprio così: le grandi mitologie sono quasi sempre fatte da popoli che narrano di essere arrivati dall'esterno e che hanno soppiantato (a volte sterminato) gli aborigeni\autoctoni\indigeni: insomma, chi prima di loro occupava quelle terre che sarebbero divenute le (nuove) terre patrie.

A leggere queste storie ci sarà chi ci potrà vedere un'oscura minaccia e chi troverà confermata la natura vagabonda e mista dell'uomo e la positività dello spostarsi e del mescolarsi.
Al vostro Aristarco piace pensare che, come sempre accade per il mito, l'uomo è sempre Uomo ovunque nello spazio e nel tempo: cambiano i luoghi, cambiano le epoche, ma le tematiche e i miti hanno sempre una costanza di fondo.

venerdì 30 luglio 2010

MALA TEMPORA CURRUNT













Pensieri sempre validi...
"...non mai infatti da più atroci calamità del popolo romano o da più certi indizi fu provato che non della nostra sicurezza, ma del nostro castigo si danno pensiero gli dei"

C. Tacito, Historiae, I, 3, 2

lunedì 12 luglio 2010

MITOLOGIA - Definizioni autorevoli



Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l'eroe e l'eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l'inevitabilità della morte

I. Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Capitolo undicesimo

mercoledì 7 luglio 2010

MITOLOGIA - Definizioni autorevoli


Senza comprendere il mito e la sua relazione con l’inconscio, se non s’intuisce l’aspirazione e l’espressione religiosa che si cela dietro il processo di creazione del mito non riconoscendo il potere dell’esperienza numinosa, nessun ricercatore di religioni comparate può sperare di trarre alcun significato dalle infinite variazioni dell’espressione di fede. Di conseguenza, molti cadono nella sciarada, intellettualmente sicura, della semplice classificazione. Collegano gli elementi comuni come se comprendere la religione fosse soltanto un altro esercizio di riferimenti incrociati. Dimenticano l’esperienza intensamente personale, eppure universale, che cerca in modo disperato una manifestazione tra le limitazioni del linguaggio e della cultura. Uno dei grandi storici della Mesopotamia, il professor Leo Oppenheimer, della Chicago Oriental School, ironizzava sui creatori di "sistemazioni che scorrono senza intoppi, addobbate in una massa di paragoni e paralleli assai ingegnosi, ottenuti zigzagando sul mondo e attraverso la storia conosciuta dell’uomo". Se qualcuno cerca la luna, la descrizione e il confronto dell’apparizione di un milione di dita che puntano in quella direzione non faciliterà più di tanto la conoscenza circa la sua apparizione.

M.Baigent, Il Cielo di Babilonia, cap. 7