lunedì 1 novembre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 5


Prima dei voli low cost Cagliari-Barcellona. Prima degli Erasmus. Prima della flotta del Cardinale Alberoni. Prima dei tanti viceré predatori. Prima di Pedro de Luna e di Martino il Giovane.
Prima di loro c’erano stati i Balari mercenari, e prima ancora Norache, o Norax che dir si voglia.
Perché per spostarsi dalla penisola iberica e conquistare la Sardegna, la distanza non è mai stata troppa.

Ma partiamo dal primo iberico sul suolo sardo: Norache.

Lo storico romano Sallustio in un frammento ci dice che Norache era figlio di Hermes e di Eritehia, figlia di Gerione.
Che poi è come dire che Norache veniva da Ovest, dall’Iberia. Perché Gerione dai tre corpi, fatto fuori da Eracle perché le sue mandrie erano troppo belle per non essere rubate, prima di finire nell’Inferno dantesco, era un re delle terre dove il sole cala.
E infatto, secondo Solino (III secolo d.C.), Norache e i suoi partirono da Tartesso, nella zona dell’attuale Cadice.

Il solito Pausania (II secolo d.C.) aggiunge che gli Iberi giunsero in Sardegna dopo Aristeo. Qualcuno potrà obiettare che forse avremmo dovuto parlare di Aristeo prima di narrare degli Iberi, ma vedremo che la faccenda è più complessa di quanto non sembri.
E comunque Pausania dice che, con grande fantasia, Norache diede il suo nome alla città di Nora. E in più afferma che questa fu la prima città dell’isola.
Se ci ricordiamo che i precedenti abitatori spesso vivevano come capitava in capanne e grotte, l’arrivo degli Spagnoli (prima e ultima volta nella tormentata storia di Sardegna) coincise con un progresso.

Quindi, grazie a Norache fu fondata la prima città.
Ma l’ambiente isolano, già da allora, non avrebbe smentito un detto successivo, ahinoi spagnolo: la celeberrima definizione che vede i Sardi come “pocos, locos y mal unidos”.
“Locos” (pazzi) non lo sappiamo, in verità. Ma che fossero “mal unidos” (disuniti) non era qualcosa di cui dubitare. Tra gli Iberi di Nora e i Libi arrivati in precedenza sotto la guida di Sardo ci furono conflitti.
A rimediare la situazione ci voleva, se non un miracolo, almeno un semidio. E infatti sempre Solino ci dice che Aristeo regnò non lontano da Nora, ovvero in quella Cagliari da lui fondata.
Nella nuova città, destinata ad essere la più importante della Sardegna, il figlio di Apollo avrebbe fuso le stirpi libiche (portate sull’isola da Sardo) e quelle iberiche (portate da Norache): questi popoli, malgrado non vi fossero abituati, accettarono di buon grado il suo governo.
Ma se i conflitti c’erano già prima della nascita di Cagliari, il dubbio che Aristeo sia potuto giungere in un momento successivo alla venuta degli Iberi è, quanto meno, legittimo.

Fin qui le notizie sulla colonizzazione del Sud della Sardegna da parte degli Iberi.

Ma se parliamo del centro e del Nord dell’isola, la faccenda si fa più complessa, e gli Iberi tornano prepotentemente in gioco.

Il grande naturalista Plinio il Vecchio, prima di morire per le ceneri del Vesuvio, scrisse che i più celebri popoli della Sardegna erano gli Iliesi, i Balari e i Corsi. Dei Corsi abbiamo già detto, degli Iliesi parleremo, dei Balari ci dobbiamo occupare ora.
Perché il nome ricorda troppo quello delle Isole Baleari, intermedie tra la Penisola Iberica e la Sardegna.
E che il nome fosse di origine Iberica, o quantomeno legato a quell’area, ce lo conferma anche Silio Italico. Il poeta ad un certo punto della sue opera ci parla dei Vettoni, abitatori della Lusitania (attuale Portogallo) e della regione Cantabrica (costa nord-ovest della Spagna): bene, a suo dire il loro capo si chiamava Balaro.

Ma che rapporto c’era tra gli Iberi e i Balari?
Innanzitutto, le fonti sembrano propendere per un arrivo successivo dei Balari: un arrivo in epoca storica, non mitica, insomma. Quando Nora era una città di certo in rapporti commerciali e politici con i Cartaginesi.
L’ennesimo frammento di Sallustio ci dice che i Corsi stanziati in Sardegna ritenevano i Balari profughi “Pallantei” (qualunque cosa significhi ciò); ma per altri erano Numidi o Ispani provenienti dall’esercito cartaginese.
Ancora una volta Pausania ci conferma (o riprende?) quanto detto da Sallustio. Secondo lui si trattava di Africani o Iberici al soldo di Cartagine. Ad un certo punto questi mercenari vennero in lite con la città fenicia proprio per questione di denaro. Così disertarono e si rifugiarono sui monti della Sardegna.
Sembra di arguire che per i Corsi il nome “Balari” significasse “disertore” (o forse “esule”), e che da allora il nome rimase a quella popolazione.

Che i Balari non fossero persone considerati affidabili nel mondo romano sembra di intuirlo da alcune fonti: Sallustio dice che erano gente di animo mutevole, malfida per timore degli alleati, scuri di vesti. Cicerone arriverà a parlare di Sardi “mastrucati”, cioè coperti di pelli.

Strabone, geografo vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., non ne ha una grande opinione. Ci dice di loro che abitano in spelonche (una costante abitazione sarda, a quanto pare…). Poi aggiunge che se pure avevano qualche terra seminabile, non si preoccupavano di metterla a frutto, anzi: preferivano depredare i profitti di chi lavorava, addirittura arrivando a rapinare gli abitanti della zona toscana.

Tito Livio ci narra le vicende della Sardegna appena conquistata dai Romani. Contro i nuovi dominatori, Iliesi e Balari strinsero un’alleanza e attaccarono la “pacatam provinciam” (la provincia pacificata).
Non fu una lotta facile, e quando Tiberio Sempronio Gracco condusse le legioni di Roma nel territorio Iliese, i Balari inviarono grandi rinforzi.
Ma Roma, per il momento, prevalse.

Quando poi gli Iliesi si ribellarono a Roma di nuovo durante la Seconda Guerra Punica, nel momento decisivo il loro capo Ampsicora cercò di arruolare truppe tra i Sardi Pelliti.
Si tratta dei Sardi mastruccati di cui parla Cicerone? Dei predatori Balari?

Sia quel che sia, anche la rivolta di Ampsicora finì male, e Iliesi e Balari dovettero rinunciare a cacciare i Romani.

Alcune piccole note…
Uscendo dal mito ed entrando nella Storia (e nelle dispute) non possiamo non citare la famosa Stele di Nora, qui sopra raffigurata. Scritta in un alfabeto fenicio arcaico, la sua traduzione (e quindi interpretazione) è discussa: la versione dell’epigrafia “ufficiale” (interpretazione di Moore-Cross, 1984) parla proprio di coloni provenienti da Tarsis (=Tartesso?) per giungere nella terra dei Sardi… Ma il nome del capo non è ahinoi, quello di Norache: il dedicante sarebbe un tal Milkaton, figlio di Subna.
Ovviamente la stele, rovinata e di difficile lettura, ha anche diverse interpretazioni (tant'è che "Milkaton figlio di Subna" diventa "Sb' figlio di Milkaton"...).
Se poi vogliamo accettare le teorie di alcuni “ricercatori indipendenti(sti)” la sua traduzione è virtualmente impossibile, in quanto, pur essendo scritta in caratteri fenici, le parole sarebbero in lingua Shardana…

Sia gli Scholi a Dioniso, sia Eustathio ci confermano che gli Iberi arrivarono prima degli Eraclidi, figli di quell’Eracle che uccise il nonno di Norache.
Ma di questo parleremo in un prossimo post.

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