domenica 26 dicembre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 8



Nella puntata precedente (giusto per dare un tono da soap opera alla nostra narrazione) abbiamo parlato dell’erotica origine dei Tespiadi. Ma la quarantina di figli di Eracle che giunsero a colonizzare la Sardegna non vennero soli.
Li accompagnava un eroe che non è tra i più famosi solo perché, ahilui!, si trovò ad essere spesso la spalla di un fuoriclasse: ovvero la spalla proprio di quell’Eracle dall’infinita capacità amatoria (che noi sardi speriamo sia rimasta patrimonio della sua discendenza… anche attuale).

L’eroe è Iolao, figlio di Ificle, il fratellastro di Eracle stesso.

Nella parodia che ne fa Sam Raimi nella serie TV “Hercules”, una delle gag ricorrenti è che tutti conoscono Eracle\Hercules, e nessuno si ricorda di Iolao.
Eppure non c’è episodio in cui l’inespressivo Kevin Sorbo (Hercules, appunto) non sia affiancato dal suo riccioluto compagno altrettanto inespressivo (l’attore Michael Hurst).
Nella “realtà” del mito, Iolao non compare subito. E non poteva essere altrimenti: Eracle ed Ificle erano gemelli (anche se Ificle era mortale e Eracle divino). Quindi si dovette attendere che il meno dotato eroticamente dei due (Ificle, appunto) raggiungesse l’età giusta per poter generare tanto nipote di tanto zio insieme ad Automedusa figlia di Alcatoo.

La carriera di Iolao, comunque, non fu assolutamente secondaria. La sua principale occupazione fu quella di auriga di Eracle, ma perfino in questa veste apparentemente secondaria, il giovane eroe seppe distinguersi. Secondo il mito, infatti, fu proprio Iolao il primo vincitore della corsa sul carro alla prima Olimpiade della storia mitica. E il buon Iolao concesse il bis nella specialità ai successivi giochi in onore del defunto Pelia.

Nel corso delle 12 fatiche dello zio, Iolao si guadagnò fama imperitura. Senza di lui, ad esempio, Eracle non avrebbe mai potuto sconfiggere l’Idra di Lerna: si narra, infatti, che ogni volta che Eracle decapitava una testa del mostro, dal collo tagliato spuntavano fuori altre due teste altrettanto mortali!
A questo punto intervenne proprio Iolao: non appena lo zio tagliava una testa, subito il nipote bruciava la ferita con un tizzone acceso, impedendo la rinascita miracolosa. Un intero bosco fu bruciato, e sia considerato degno di vituperio chi pensa che Iolao passò il brutto vizio degli incendi ai Sardi attuali.

Tra le altre imprese “minori” accanto allo zio, Iolao partecipò alla campagna contro Troia, aiutò Eracle a togliere le armi al morto Cicno, andò fino all’estremo occidente quando Eracle affrontò Gerione per sottrargli le sue meravigliose mandrie, partecipò alla spedizione degli Argonauti.

La fiducia di Eracle nel nipote era immensa. Addirittura, quando il semidio divorziò dalla prima moglie Megara, diede in moglie l’ex sposa proprio al nipote. L’insolita coppia Iolao\Megara ebbe una figlia, Leipefile, nome che pare significasse “Amore per l’Abbandonata” (o, più propriamente, "per chi aveva abbandonato la tribù"... ma qui entreremmo in discussioni sul matriarcato :-P).
Qualche maligno disse che tra Eracle e Iolao c’era un rapporto amoroso. Anzi:che Iolao fosse l’amate di diversi eroi della mitologia greca.

In ogni caso, Iolao ripagò lo zio con la fedeltà e seguendolo anche durante l’esilio imposto a Eracle dal geloso Euristeo.
Così non ci deve stupire che proprio a lui Eracle affidò il compito di portare in Sardegna la maggior parte dei Tespiadi, anche se si discute se ciò avvenne prima o dopo la morte di Eracle.
A questo proposito, tra l’altro, non va dimenticato un fatto importante: alcune versioni vedono Filottete come colui che accese la pira funebre di Eracle, ama ltre dicono che fosse proprio Iolao a compiere il rito. La pira bruciò ogni residuo mortale dal corpo di Eracle, permettendo che in questo modo ascendesse al cielo in qualità di dio.

Dopo la morte dello zio, Iolao non cessò di aiutare i suoi cugini, gli Eraclidi. Secondo una delle versioni, come detto, portò alcuni di loro in Sardegna proprio in quel momento.
Secondo altre, invece, tornò in Grecia dalla Sardegna quando seppe che i rimanenti Eraclidi erano minacciati da Euristeo.
Qui le versioni sono una più iperbolica dell’altra. La prima dice che Iolao fosse già vecchio quando si apprestò ad affrontare Euristeo; anche costui non doveva essere un giovanotto, visto che era di qualche giorno più anziano di Eracle! Ma Zeus ed Ebe, moglie divina di Eracle, restituirono per un giorno la giovinezza e la forza a Iolao, in modoc eh potesse affrontare al meglio la battaglia decisiva.
Secondo altri mitografi, Iolao era addirittura già morto! Ma gli Eraclidi avevano bisogno di lui, così l’eroe resuscitò.
Sia stato come sia stato, Iolao affrontò Euristeo e lo uccise. Poi tornò alla sua tomba (o alla sua vecchiaia), ma in Sardegna fu venerato a lungo.

Come e perché avvenne ciò, lo diremo nel prossimo post.

Alcune piccole note…
Il fatto che Iolao partecipasse alla spedizione contro Gerione e al furto dei Pomi del Giardino delle Esperidi, non ci deve sorprendere. È probabile che nella figura di Iolao sia confluita anche la figura di un eroe “occidentale”, e sia Gerione che le Esperidi sono collegati all’Occidente più lontano e in parte sconosciuto ai Greci.
Non dimentichiamo che Gerione ebbe come figlia Erizia che, unitasi a Mercurio\Hermes, generò Norace, un predecessore dei tespiadi nella colonizzazione della Sardegna (e se non vi ricordate le vicende di Norace, cliccate qui!).
A seconda delle versioni Gerione regnava su Tartesso o sull’isola di Erizia che però non prende il nome dalla figlia, ma dalla sposa di Gerione, una delle Esperidi figlie di Atlante: il Giardino delle Esperidi pare fosse ubicato proprio vicino all’isola.

sabato 25 dicembre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 7



E finalmente arrivarono in Sardegna i veri pezzi da novanta della colonizzazione mitica. Ovvero quelli destinati a dare una continuità alla loro migrazione.
Perché se Aristeo era un big del mito, sull’isola fece solo una “toccata e fuga”. (Se vi siete persi l’arrivo dell’agricoltura, della pastorizia, della città e di quant’altro in Sardegna cliccate qui!).

I pezzi da novanta erano tanti, erano gli strabilianti esiti di un record sessuale quale mai si vide in Grecia (e nel mondo), erano raccomandati da papà Eracle, ed erano accompagnati da un eroe che era destinato alla resurrezione per l’ultima battaglia (o, quanto meno, a un ringiovanimento miracoloso). E venivano per rimanere.
Erano i Tespiadi, i figli di Eracle nati da una maratona del sesso, e veniva con loro Iolao, il nipote prediletto del più grande eroe della Grecia.
La loro storia va raccontata per benino, visto che i Sardi dovrebbero discendere proprio da loro…

Narra il mito che Eracle era in viaggio per la Grecia, nel corso di una delle sue imprese. Precisamente si dice che, a diciotto anni, la sua prima impresa “pubblica” fu la caccia al leone che infestava il Monte Cicerone presso Tebe. La caccia non fu semplice per l’ancor giovane eroe, ed Eracle decise di mettere il suo campo nella vicina città di Tempie. Qui risiedeva Tespio, un ateniese figlio di re Eretteo che era andato a fondare questa città in Beozia.
Eracle era giovane, ma non per questo sconosciuto: già si mormorava che fosse figlio di Zeus, e il fatto che avesse strangolato due serpentoni minacciosi, quando era ancora nella culla, sembrava corroborare questa diceria.
Sembrava destinato ad un glorioso avvenire (profezia che si realizzò, d’altronde) e l’ambizioso Tespio decise di imparentarsi con lui. Il concetto di “reputazione di onorabilità delle figlie” non valeva l’essere con suocero di Zeus.
Si narra che Tespio avesse 50 figlie, a seconda delle versioni nate tutte dalla moglie Megamede o da varie concubine. Re Tespio si dichiarò subito un ospite disponibile e generoso. All’affaticato eroe che tornava dopo una giornata di caccia, offrì cibo, vino, un letto… e le figlie. Eracle, che non disdegnava alcuno dei piaceri della carne, non disse di no.

Le versioni sono diverse. C’è chi dice che la caccia durò 50 giorni, e che per 50 notti una diversa figlia di Tespio finiva nel letto di Eracle. C’è chi dice che l’eroe fosse troppo affaticato dalla caccia, e che quindi Eracle (che spesso non brilla per acume nei miti) non riconoscesse che la fanciulla era ogni notte diversa. Ma non falliva mai il colpo, se ci possiamo esprimere così…
C’è chi dice che la caccia durò sette giorni. E qui Eracle non si confondeva affatto: nonostante la stanchezza ben sette fanciulle per notte (otto una particolare notte) venivano colmate delle sue infaticabili attenzioni.
Infine c’è chi esagera: a prescindere dalla durata della caccia, in una sola notte Eracle possedette tutte le cinquanta figlie di Tespio, non sappiamo se in un’unica grande (perdonateci l’espressione) ammucchiata o una dopo l’altra. Di fronte a tale sfida, forse anche John Holmes e Rocco Siffredi avranno sognato (o tremato).

A prescindere dal numero di amanti per notte, però, tutte le ragazze concepirono un figlio da Eracle. Immaginiamo che, nove mesi dopo, la reggia di Tespio fu in piena attività ed agitazione. Tutte le fanciulle partorirono dei figli maschi, ovviamente (Eracle nella sua vita avrebbe generato solo maschi, tranne una figlia femmina), e anzi: la più grande e la più piccola delle figlie di Tespio partorirono due gemelli.
Tespio non poteva essere più orgoglioso. Crebbe i bambini e probabilmente li mostrò a tutti come segno del favore divino.
L’amicizia del re con Eracle durò nel tempo: si dice che proprio lui purificò l’eroe dopo che, in preda alla follia mandata dalla gelosa matrigna Era, Eracle uccise i figli che aveva avuto da Megara.

Poi un giorno, quando i nipotini di Tespio furono abbastanza grandi, il re chiese al genero quale destino aspettasse i ragazzi: Eracle, ormai celeberrimo, due venissero a risedere a Tebe, sette restassero a Tespie, e tutti gli altri partissero per la Sardegna, per colonizzare l’isola.
La quarantina di coloni sarebbe stata guidata da Iolao, il nipote preferito di Eracle, ma di questo eroe parleremo nel prossimo post.

Alcune piccole note…
I cinquanta figli sono un must della mitologia. Il numero è la base per un numero perfetto come 100 (50 figli o figlie+50 spose o sposi = 100 in tutto).
Abbiamo già conosciuto le 50 figlie di Danao che convolano a terribili e ingiuste nozze con i 50 cugini, tutti figli di Egitto; ma 50 sono le Nereidi del mare figlie di Nereo e 50 saranno i figli maschi di Priamo.

lunedì 22 novembre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 6



Tenetevi forte. Perchè, finalmente, stanno per arrivare i pezzi grossi.
Sì, la colonizzazione della Sardegna non ha conosciuto solo “figli di”. Ha visto arrivare anche “gente importante”.
Non sappiamo se questo sia stato un pregio, ma c’è stato anche questo. Ci dobbiamo limitare ad accettarlo.
Che poi dietro i “pezzi grossi” si nasconda l’interpretatio greca di qualche altro dio straniero, non lo sappiamo.
(Se non sapete cosa sia l’interpretatio greca, migrate temporaneamente alle nostre piccole note in fondo e poi tornate!)

Il primo big lo abbiamo già nominato: Aristeo. Già dal nome (legato ad aristos = il “migliore”, il “nobile” etc.) capiamo che non si tratta di un personaggio secondario. E’ figlio di Apollo e di Cirene, ma non è un “figlio di” nebuloso come lo sono Norache e Sardo. Tutt’altro!

Aristeo, infatti, compare in diversi miti, alcuni molto famosi.

E’ lui, ad esempio, che insegue Euridice, moglie di Orfeo, e ne provoca la morte. Così Orfeo deve scendere nell’Ade a cercare l’amata. Storiellina nota, no?
E’ lui il padre di Atteone, tramutato in cervo e sbranato dai propri per aver visto la dea Artemide ignuda.

Ma Aristeo è soprattutto un grande “eroe culturale” che porta le conoscenze agli uomini. Aristeo è un grande cacciatore; è lui a “scoprire” il miele per la nostra specie; è lui a spiegare all’umanità diversi aspetti della coltivazione, come quella dell’ulivo.
E infine è soprattutto lui a insegnare ai mortali le tecniche della pastorizia e della fabbricazione del formaggio.

Già questo basterebbe a collegarlo banalmente alla nostra isola, soprattutto se siete tra quei banali contemporanei che credono agli stereotipi più banali sulla Sardegna (“tutti i sardi sono pastori”…).

Ma Aristeo, lo riconoscono i mitografi greci, non si fermò qui: venne in Sardegna da colonizzatore e fondatore di città.

Ahinoi!, non ci rimangono i miti dei fenici, per non parlare di quelli dei Sardi stessi. Quindi non possiamo sapere se, sotto il nome greco di Aristeo, ci sia davvero il padre di Atteone o più facilmente qualche altro eroe del lontano Occidente che i Greci identificarono con Aristeo. Era un personaggio importante, sicuramente, di cui rimangono testimonianze di culto nella parte meridionale della Sardegna.
E non a caso…

Dice uno scrittore, che qualcuno riteneva fosse Aristotele, che la Sardegna, “in tempi lontani”, era prospera e dispensatrice di ogni prodotto. Il nostro scrittore (ma sì, chiamiamolo pure “Pseudo-Aristotele” come fanno gli studiosi) riferisce che si diceva che la causa non potesse essere che una sola: era arrivato Aristeo con il suo bagaglio di conoscenze (“Donne! E’ arrivato l’arrotino!”) a civilizzare terre altrimenti arretrate.
Secondo i frammenti di Sallustio, che altre volte abbiamo citato, il percorso fatto da Aristeo fu il seguente: straziato per la morte di Atteone, la madre gli consiglia di lasciare Tebe in Grecia e cercare un’altra sede. Prima va a Creta (a quell’epoca spopolata), poi incontra Dedalo e in sua compagnia raggiunge la Sardegna.
Silio Italico ribadisce cause e destinazione del viaggio.

Però mitografi e storici non vanno sempre d’accordo sulle versioni. Se vi ricordate (se non ve lo ricordate, cliccate qui!) Creta in quell’epoca mitica non risultava così spopolata. Anzi, era una potenza navale. E Dedalo non lasciava una Creta che stava sorgendo, ma fuggiva da Minosse, da lui scontentato in più modi. Un Minosse che aveva già regnato per lunghi anni dopo aver ereditato il trono cretese dal patrigno.

Insomma: secondo varie fonti, Sallustio aveva preso un abbaglio.
Ma la cosa strana è che Servio, il famoso commentatore di Virgilio, si richiama proprio a un passo di Sallustio, e l’isola disabitata non sarebbe Creta, ma Ceo.

Il siculo Diodoro, infatti corregge il tiro. Il percorso di Aristeo fu più articolato. Prima fa sosta a Ceo (dove lascia qualche discendente), poi ripassa in Libia (dobbiamo immaginare nella zona di Cirene, da lui dedicata a mammà?) e infine arriva in Sardegna.
Questo Agha Khan d’alti tempi trova l’isola bella… e colonizzabile. Quindi si dà da fare per migliorarla: piantagioni e coltivazioni sorgono grazie alla sua opera, e sono fiorenti. Tant’è che qui nascono due suoi figli: Carmo e Callicarpo. “Callicarpo” significa “bel frutto”, e “Carmo” è legato alla parola che significa “gioia, letizia”.
Non sono certo nomi da agricoltura in crisi!
Comunque il nostro istancabile eore (culturale) non si fermò qui, ma si spostò in “altre” isole, per arrivare infine in Sicilia. Quali siano le isole toccate in questo viaggio non sappiamo, ma limitarsi a dire che erano le Egadi, sembra un po’ riduttivo.

Sì, ma quando arrivò Aristeo? In che posizione si classificò in questa gara tra chi voleva colonizzare la Sardegna?
La nostra fonte pluricitata, il turista non-per-caso Pausania, fa un po’ la sintesi delle opinioni e ci ragiona su. Anche secondo lui Aristeo parte per il dolore della morte di Atteone e arriva in Sardegna dopo i Libici (di Sardo).
Pausania contesta che sia arrivato con Dedalo (in fuga dai Cretesi, secondo una delle fonti consultate dal nostro turista scrittore), per questioni cronologiche: Aristeo visse a Tebe in Beozia all’epoca dei figli di Cadmo, Dedalo all’epoca di Edipo, qualche generazione dopo. Quindi i tempi non tornano.
(Di Cadmo, celebre migrante e fondatore di città, parleremo un’altra volta…)
Ci fosse o no Dedalo, Pausania ne è sicuro: Aristeo introdusse l’agricoltura in Sardegna, ma non fondò città. Infatti sia come numero di coloni che come “forza lavoro” questa spedizione non era in grado di edificarne una.

E qui non c’è accordo. Solino (III secolo d.C.), infatti, come abbiamo già detto altrove, sostiene che Aristeo fondò Karalis, e lì unificò Libi (di Sardo) e Iberi (di Norache), che prima rifiutavano ogni autorità.

Ancora una volta il rebus delle origini mitiche degli abitanti della Sardegna appare contraddittorio.
Quando arrivò Aristeo? Arrivò prima o dopo gli altri? Chi lo accompagnava? Fondò o meno Karalis?
La risposta forse era raccontata sotto forma di fumetto. Sempre il nostro Servio, infatti, ci dice che Dedalo si fermò in Sardegna, poi raggiunse Cuma in Campania e qui fondò il celebre tempio di Apollo dove fece sosta anche Enea in viaggio con i suoi troiani.
Qui, sulle porte del tempio, lui stesso dipinse le tappe del suo viaggio.

Ma di cosa avrebbe fatto Dedalo in Sardegna (e anche di qualche puntatina dei Troiani sull’isola), ne parleremo un’altra volta.


Alcune piccole note
Un sito che raccoglie le varie versioni del mito di Aristeo in Sardegna lo trovate qui.

Cos’è l’interpretatio greca? I nostri amici greci avevano l’abitudine di ritenere di aver inventato tutto loro, e che gli dei fossero solo quelli parlanti greco. Così, anticipando di secoli i Cristiani che trasformarono gli dei pagani in santi, anche i greci “interpretarono” dei ed eroi di altri popoli come “cattive traduzioni” e “fraintendimenti” di dei ed eroi ellenici. Una sorta di colonialismo culturale.
Così il Melqart fenicio, per alcune sue caratteristiche fu considerato equivalente ad Eracle, Amon\Ammone fu identificato con Zeus e così via.
Così non è improbabile che il nome di Aristeo figlio di Apollo, legato all’Arcadia e alla Beozia, fu sovrapposto a qualche eroe (o un dio) africano, fenicio, sardo o chissà cos’altro, con cui aveva in comune il legame con agricoltura e pastorizia.

sabato 13 novembre 2010

DEFINIZIONI AUTOREVOLI - Miti moderni


Sergej Luk'janenko è l'autore russo che ha rivoluzionato il mondo del Fantasy con la sua saga dei Guardiani. Lo spunto è semplice: quasi tutte le creature mitiche, siano esse buone o cattive, esistono davvero. Sono gli "Altri", nati da esseri umani ma fondamentalmente diversi. Sono divisi in due schieramenti: forze delle Tenebre e forze della Luce, che combattono una guerra infinita. Anche se, in realtà, in una versione aggiornata della Guerra Fredda, hanno raggiunto uno status quo: fanno piani, tramano, si controllano tra loro, ma sostanzialmente nessuna delle due parti può prevalere sull'altra.
In uno dei racconti che compongono il volume "I Guardiani del Crepuscolo", un potente personaggio viene ucciso. E viene ucciso in un modo che sembra improbabile perfino per un Altro. Così, mentre si parla di Libri mitici anche per questi esseri mitici, avviene un dialogo interessante...

- Nei servizi segreti abbiamo i nostri agenti - ribattè Edgar. - Ma ammesso e non concesso che siano riprese le ricerche e che ci sia stata una fuga di notizie, la morte di Vitezslav rimane un mistero. Nessun James Bond sarebbe riuscito ad avvicinarsi a lui senza essere notato.
- Chi è James Bond? - chiese Zavulon.
- Fa parte della mitologia - gli spiegò Geser. - Mitologia contemporanea.


S. Luk'janenko, I Guardiani del Crepuscolo, Terzo Racconto, Oscar Mondandori Bestsellers 1947, trad. di M. Falcucci.

lunedì 1 novembre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 5


Prima dei voli low cost Cagliari-Barcellona. Prima degli Erasmus. Prima della flotta del Cardinale Alberoni. Prima dei tanti viceré predatori. Prima di Pedro de Luna e di Martino il Giovane.
Prima di loro c’erano stati i Balari mercenari, e prima ancora Norache, o Norax che dir si voglia.
Perché per spostarsi dalla penisola iberica e conquistare la Sardegna, la distanza non è mai stata troppa.

Ma partiamo dal primo iberico sul suolo sardo: Norache.

Lo storico romano Sallustio in un frammento ci dice che Norache era figlio di Hermes e di Eritehia, figlia di Gerione.
Che poi è come dire che Norache veniva da Ovest, dall’Iberia. Perché Gerione dai tre corpi, fatto fuori da Eracle perché le sue mandrie erano troppo belle per non essere rubate, prima di finire nell’Inferno dantesco, era un re delle terre dove il sole cala.
E infatto, secondo Solino (III secolo d.C.), Norache e i suoi partirono da Tartesso, nella zona dell’attuale Cadice.

Il solito Pausania (II secolo d.C.) aggiunge che gli Iberi giunsero in Sardegna dopo Aristeo. Qualcuno potrà obiettare che forse avremmo dovuto parlare di Aristeo prima di narrare degli Iberi, ma vedremo che la faccenda è più complessa di quanto non sembri.
E comunque Pausania dice che, con grande fantasia, Norache diede il suo nome alla città di Nora. E in più afferma che questa fu la prima città dell’isola.
Se ci ricordiamo che i precedenti abitatori spesso vivevano come capitava in capanne e grotte, l’arrivo degli Spagnoli (prima e ultima volta nella tormentata storia di Sardegna) coincise con un progresso.

Quindi, grazie a Norache fu fondata la prima città.
Ma l’ambiente isolano, già da allora, non avrebbe smentito un detto successivo, ahinoi spagnolo: la celeberrima definizione che vede i Sardi come “pocos, locos y mal unidos”.
“Locos” (pazzi) non lo sappiamo, in verità. Ma che fossero “mal unidos” (disuniti) non era qualcosa di cui dubitare. Tra gli Iberi di Nora e i Libi arrivati in precedenza sotto la guida di Sardo ci furono conflitti.
A rimediare la situazione ci voleva, se non un miracolo, almeno un semidio. E infatti sempre Solino ci dice che Aristeo regnò non lontano da Nora, ovvero in quella Cagliari da lui fondata.
Nella nuova città, destinata ad essere la più importante della Sardegna, il figlio di Apollo avrebbe fuso le stirpi libiche (portate sull’isola da Sardo) e quelle iberiche (portate da Norache): questi popoli, malgrado non vi fossero abituati, accettarono di buon grado il suo governo.
Ma se i conflitti c’erano già prima della nascita di Cagliari, il dubbio che Aristeo sia potuto giungere in un momento successivo alla venuta degli Iberi è, quanto meno, legittimo.

Fin qui le notizie sulla colonizzazione del Sud della Sardegna da parte degli Iberi.

Ma se parliamo del centro e del Nord dell’isola, la faccenda si fa più complessa, e gli Iberi tornano prepotentemente in gioco.

Il grande naturalista Plinio il Vecchio, prima di morire per le ceneri del Vesuvio, scrisse che i più celebri popoli della Sardegna erano gli Iliesi, i Balari e i Corsi. Dei Corsi abbiamo già detto, degli Iliesi parleremo, dei Balari ci dobbiamo occupare ora.
Perché il nome ricorda troppo quello delle Isole Baleari, intermedie tra la Penisola Iberica e la Sardegna.
E che il nome fosse di origine Iberica, o quantomeno legato a quell’area, ce lo conferma anche Silio Italico. Il poeta ad un certo punto della sue opera ci parla dei Vettoni, abitatori della Lusitania (attuale Portogallo) e della regione Cantabrica (costa nord-ovest della Spagna): bene, a suo dire il loro capo si chiamava Balaro.

Ma che rapporto c’era tra gli Iberi e i Balari?
Innanzitutto, le fonti sembrano propendere per un arrivo successivo dei Balari: un arrivo in epoca storica, non mitica, insomma. Quando Nora era una città di certo in rapporti commerciali e politici con i Cartaginesi.
L’ennesimo frammento di Sallustio ci dice che i Corsi stanziati in Sardegna ritenevano i Balari profughi “Pallantei” (qualunque cosa significhi ciò); ma per altri erano Numidi o Ispani provenienti dall’esercito cartaginese.
Ancora una volta Pausania ci conferma (o riprende?) quanto detto da Sallustio. Secondo lui si trattava di Africani o Iberici al soldo di Cartagine. Ad un certo punto questi mercenari vennero in lite con la città fenicia proprio per questione di denaro. Così disertarono e si rifugiarono sui monti della Sardegna.
Sembra di arguire che per i Corsi il nome “Balari” significasse “disertore” (o forse “esule”), e che da allora il nome rimase a quella popolazione.

Che i Balari non fossero persone considerati affidabili nel mondo romano sembra di intuirlo da alcune fonti: Sallustio dice che erano gente di animo mutevole, malfida per timore degli alleati, scuri di vesti. Cicerone arriverà a parlare di Sardi “mastrucati”, cioè coperti di pelli.

Strabone, geografo vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., non ne ha una grande opinione. Ci dice di loro che abitano in spelonche (una costante abitazione sarda, a quanto pare…). Poi aggiunge che se pure avevano qualche terra seminabile, non si preoccupavano di metterla a frutto, anzi: preferivano depredare i profitti di chi lavorava, addirittura arrivando a rapinare gli abitanti della zona toscana.

Tito Livio ci narra le vicende della Sardegna appena conquistata dai Romani. Contro i nuovi dominatori, Iliesi e Balari strinsero un’alleanza e attaccarono la “pacatam provinciam” (la provincia pacificata).
Non fu una lotta facile, e quando Tiberio Sempronio Gracco condusse le legioni di Roma nel territorio Iliese, i Balari inviarono grandi rinforzi.
Ma Roma, per il momento, prevalse.

Quando poi gli Iliesi si ribellarono a Roma di nuovo durante la Seconda Guerra Punica, nel momento decisivo il loro capo Ampsicora cercò di arruolare truppe tra i Sardi Pelliti.
Si tratta dei Sardi mastruccati di cui parla Cicerone? Dei predatori Balari?

Sia quel che sia, anche la rivolta di Ampsicora finì male, e Iliesi e Balari dovettero rinunciare a cacciare i Romani.

Alcune piccole note…
Uscendo dal mito ed entrando nella Storia (e nelle dispute) non possiamo non citare la famosa Stele di Nora, qui sopra raffigurata. Scritta in un alfabeto fenicio arcaico, la sua traduzione (e quindi interpretazione) è discussa: la versione dell’epigrafia “ufficiale” (interpretazione di Moore-Cross, 1984) parla proprio di coloni provenienti da Tarsis (=Tartesso?) per giungere nella terra dei Sardi… Ma il nome del capo non è ahinoi, quello di Norache: il dedicante sarebbe un tal Milkaton, figlio di Subna.
Ovviamente la stele, rovinata e di difficile lettura, ha anche diverse interpretazioni (tant'è che "Milkaton figlio di Subna" diventa "Sb' figlio di Milkaton"...).
Se poi vogliamo accettare le teorie di alcuni “ricercatori indipendenti(sti)” la sua traduzione è virtualmente impossibile, in quanto, pur essendo scritta in caratteri fenici, le parole sarebbero in lingua Shardana…

Sia gli Scholi a Dioniso, sia Eustathio ci confermano che gli Iberi arrivarono prima degli Eraclidi, figli di quell’Eracle che uccise il nonno di Norache.
Ma di questo parleremo in un prossimo post.

domenica 24 ottobre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 4


E finalmente facciamo nomi e cognomi. Anzi: incominciamo a dare alla Sardegna il suo nome.

Per farlo dobbiamo partire da un derby Torres-Cagliari di qualche decennio fa. Da un lato i cori erano “Tathari delenda”, “Zola torna all’ovile” e la ben più famigerata “L’altra sera \ camminando per strada”. Dall’altra l’urlo “Cagliaritani africani”.
Beh, non so se avessero ragione i tifosi rossoblu (quelli originali di Casteddu, ovvio). Di certo i cabesusesi torresini non avevano torto. Perché miticamente i Sardi sono venuti (anche) dall’Africa.
Anzi: il nome stesso della Sardegna è derivato da un semidio Africano…
Ma andiamo per ordine.

Il solito Pausania (non Tempio), infatti, ci riferisce che i primi a raggiungere l’isola via mare furono dei Libi guidati da Sardo. L’isola era già abitata dagli Indigeni ma, come detto, ben poco si sa di loro. Quanti ai Corsi, Pausania qui li trascura.
Ora: la Libia dell’antichità era un concetto abbastanza esteso. Diciamo che, più o meno, era tutta l’attuale Africa Mediterranea con esclusione della zona di Cartagine (l’Africa vera e propria), della Mauretania (attuali Algeria e Marocco) e dell’Egitto. La provenienza di questi Libi, quindi, non è facilmente definibile.
A ciò non ci aiutano le vicende di Sardo: Pausania ci dice solo che era figlio di Makeris (nome Egizio e Libri per Eracle, a detta dell’autore) e che fece un viaggio a Delfi. Se questo viaggio al più famoso oracolo dell’antichità avvenne prima del suo sbarco in Sardegna o dopo non è dato saperlo. Possiamo però ricordare che in epoca più storica e meno mitica, chi stava per partire per fondare una colonia si recava a Delfi per avere indicazioni: forse anche Sardo fece lo stesso e si recò dalla Pizia prima di migrare.

Pausania aggiunge che gli Indigeni dell’isola accolsero i Libi “più per necessità che di proposito” e che i Libi non espulsero gli Indigeni stessi. Un frammento dello storico romano Sallustio ci dice che Sardo partì dalla Libia “con una grande moltitudine”: forse gli indigeni non poterono contrastare questa “moltitudine” e si sottomisero, fondendosi con i nuovi arrivati.
Pausania garantisce che, comunque, la vita non cambiò molto dopo l’insediamento dei Libi: tutti e due i popoli non sapevano edificare le città, ma abitavano in capanne e spelonche così come potevano.

Ancora Pausania e Sallustio ci dicono che fu Sardo a dare il nuovo nome all’isola: Sardegna da Sardo, appunto.
Non sappiamo, invece, quale fosse il nome dato alla nostra terra dagli Indigeni, ma abbiamo una vasta scelta tra nomi di suono greco.
Silio Italico ci dice che l’isola fu chiamata dai Greci Ichnusa, poiché ha la forma di piede umano, e che questa denominazione era precedente all’arrivo di Sardo. Il nome è sostanzialmente confermato dal tardo Isidoro di Siviglia, che lo conosce come Ichnos.
Marziano Capella, invece, oltre a Ichnussa propone come originario nome alternativo Sandaliotes, dalla parola che indica il “sandalo”: quindi sempre in relazione alla forma di piede dell’isola.
Gli scoli al Timeo di Platone dicono che il nome originario era Argyrofleps!

Sta di fatto che l’isola prese il nome attuale, che Ichnussa rimase come nome per una bevanda e che i Libi si insediarono.

Secoli dopo, e ormai siamo in epoca storica, secondo Pausania i Libi fecero una seconda spedizione in Sardegna. Stavolta erano ben armati (presumibilmente si tratta di Cartaginesi) e attaccarono gli abitanti Greci e Troiani dell’isola.
I Libi vinsero entrambi, ma gli esiti per i popoli attaccati furono diversi. Gli Elleni\Iolei, infatti, furono quasi tutti annientati. I Troiani, invece, si rifugiarono sulle montagne di più difficile accesso e, grazie alle asperità del luogo e alle opere difensive, resistettero all’invasore.
Così, pur somigliando ai Libi per aspetto, armature e per ogni costume di vita, riuscirono a mantenersi indipendenti col nome di Illei.

Ma di colonizzatori Greci e Troiani avremo modo di parlare in alcuni prossimi post.

Qualche piccola nota per i non isolani…
“Casteddu”, il “Castello” è il nome sardo di Cagliari.

“Cabesusesu” (plurale “Cabesusesi”) è un abitante del “cab’e susu”, il “Capo di sopra”, antico distretto amministrativo spagnolo, che corrisponde più o meno alle attuali province di Sassari e di Olbia-Tempio. Per metonimia individua gli abitanti di Sassari.

Il capoluogo di provincia Tempio è in realtà denominato Tempio Pausania, da qui la freddura di sopra… Il capoluogo non è altrimenti entrato nel mito, se non per il suo licenzioso Carnevale.

Paolo Diacono (VIII D.C.) propone un nome alternativo per Sardo: lo chiama Sarde o Sardi, figlio di Ercole (lapsus calami?). Anche lui conferma che il nome dell’isola derivò da lui. Aggiunge che il nome dell’isola quasi-gemella (la Corsica) deriva da Corso, un condottiero locale.

giovedì 21 ottobre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 3


La Sardegna come crocevia delle popolazioni del Mediterraneo. Non uno slogan da turismo moderno, ma la “realtà” del mito antico, come vedremo.
Abbiamo accennato agli Indigeni, provenienti da chissà dove. Abitatori della Sardegna originari, o forse etichetta generica per indicare “chi c’era già quando raccontiamo di una nuova migrazione”.
Oggi iniziamo a fare nomi e cognomi, anche se solo di popoli e, non ancora, di eroi. O forse sì.
In rigido ordino geografico assolutamente casuale, parleremo delle immigrazioni che raggiunsero la Sardigna partendo da Nord.

Plinio il vecchio ci informa che le più note popolazioni della Sardegna (escludendo Romani e coloni fenicio punici) erano gli Iliesi, i Balari e i Corsi. E proprio da questi partiremo.

L’isola di Corsica non è molto distante dalla Sardegna. Anzi: vi è praticamente attaccata. La Corsica era chiamata così dai suoi abitanti (i Ligues, ci dice Pausania), mentre i Greci al chiamavano Cirno. Per Paolo Diacono (storico dell’ottavo secolo d.C.) la Corsica prese il nome da Corso, un suo capitano, mentre la Sardigna da un figlio di Ercole.
Sta di fatto che (ancora Pausania dixit) parte dei Corsi si trasferì in Sardegna e occupò una porzione dei monti isolani. Non è ben chiaro perché l’autore dice che questi immigrati ricevettero dagli indigeni il nome di Corsi: non se lo saranno portati da casa loro stessi?

Ma chi erano questi Ligues? Il nome è quello greco per un popolo che i Romani chiamavano Ligures, i Liguri, stanziati sulle coste del Mar Ligure in un’area che dall’attuale Liguria (viva la fantasia!) arrivava fino al Rodano. Ancora oggi si discute se siano stati una popolazione pre-indoeuropea o invece affine a Celti e Umbri.
Diodoro Siculo, altro tipaccio che abbiamo già conosciuto e che ritroveremo spesso su questi post, ci dice che i mercanti Liguri erano dei navigatori arditi. Su barche che, a detta del siceliota, erano peggiori di una zattera e che di barche quasi non avevano nulla, affrontavano in maniera stupefacente le tempeste del Mare di Sardegna e di quello di Libia.
Zonara, uno storico medievale bizantino, ci dice che durante le rivolte in Sardegna contro i Romani, accanto ai Corsi si sollevarono più volte anche i Liguri.
A questo punto dobbiamo immaginare che, nonostante le scadenti barche, i Liguri si fossero stanziati anche in Sardegna. La logica c’è: se navigavano fino alla Libia, la Sardegna era un punto di sosta obbligato tra le loro basi di partenza e quelle d’arrivo. Se poi avevano dato il nome alla Corsica, forse da loro discendevano quei Corsi migrati in Sardegna.
Nella narrazione della rivolta Zonara ci regala una delle pagine più tragiche della storia sarda: visto che le scorrerie romane non ottenevano quasi nulla, perché i ribelli si nascondevano in boschi e grotte, il generale romano Pomponio si fece mandare da Roma cani da fiuto. Dotati di queste “armi” i Romani riuscirono a stanare gli avversari, uccidendone molti e costringendo i sopravvissuti alla resa.

Fin qui questi due popoli.
Ma un nome mitico ce lo possiamo regalare già in questo post: è quello di Forco, uno dei “Vecchi del Mare” della mitologia greca, assieme ad Oceano, a Nereo e a Proteo.
Secondo Servio, in ciò seguace di Evemero, Re di Corsica e Sardegna fu un tempo proprio Forco. Non sappiamo se Servio intendesse che entrambe le isole erano unite, o semplicemente che Forco fosse il re dei Corsi stanziati sulle due sponde delle Bocche di Bonifacio.
Comunque Forco affrontò in battaglia Atlante e il suo esercito: fu una catastrofe. Il re dei Corsi ne fu sconfitto sia sul mare che sulla terra.
A questo punto Forco scomparve, e i suoi compagni credettero che fosse divenuto una divinità marina.

Un re divenuto dio: non male per un popolo cui i Romani (citando un grande poeta e cantante ligure anche lui immigrato in Sardegna) diedero la caccia come se fosse stata selvaggina!

lunedì 18 ottobre 2010

MIGRAZIONI – E tui, de chini sesi? 2



Vi abbiamo detto che i Sardi del mito venivano un po’ da ogni angolo del Mediterraneo. Una piccola correzione però si impone: qualcuno che veniva da chissà dove, c’era già prima di tutti.
Magari spuntato fuori dal suolo come un albero piegato dal vento di Maestrale.

Pausania, il secondo turista della storia (il primo era sua maestà Erodoto lo sparaballe, of course) ci fa capire che anche in Sardegna esistevano degli Indigeni: essi erano gli abitatori dell’isola prima di libi, fenici, geci e quant’altri arrivarono dopo. Ed erano diversi da questi.
Diciamo che Pausania più che dire cosa fossero e cosa sapessero fare, parla in negativo. Cioè ci dice che non sa quale nome gli Indigeni avessero dato alla Sardegna. Che non sapevano costruire città, ma vivevano come capitava in grotte e tuguri. Che i Libi (per Pausania i primi “nuovi arrivati” sull’isola) non li cacciarono. Che gli Indigeni non gradivano i Libi ma che erano troppo deboli per riuscire a respingerli.
E infine: gli Indigeni dovettero subire una nuova invasione da parte di alcuni degli abitanti della Corsica. Furono essi stessi (gli indigeni) a chiamare i nuovi arrivati Corsi: questi furono una delle tre grandi stirpi sarde mitiche (e storiche) assieme ai Balari e agli Illesi.

Il Siculo Diodoro aggiunge poco alla storia degli Indigeni. Forse parla di loro mescolati ai Libi arrivati dopo, non sappiamo. Ci dice comunque che Iolao, nipote di Eracle e mitico conquistatore della Sardegna alla guida dei suoi cugini Tespiadi, li sconfisse in battaglia e spartì l’Isola tra i suoi protetti.
Un’altra nota sparsa è data quando parla della rivolta dei Libi (dell’Africa, non i Libi immigrati in Sardegna) contro i Cartaginesi: dice che gli indigeni dell’Isola cercarono di approfittare della rivolta per liberarsi dai Punici.
Sono gli stessi indigeni di cui ci parla Pausania? O sono genericamente gli abitanti della Sardigna che non erano Cartaginesi? Dalle scarne notizie di Diodoro non possiamo risolvere l’enigma. Comunque i nazionalisti isolani si rassegnino: i Cartaginesi sconfissero presto i rivoltosi in Africa e poi rioccuparono la Sardegna.

Fine delle notizie sugli Indigeni.
Un po’ poco, certo. Poche notizie e tanti dubbi.
Chi erano gli Indigeni? Erano autoctoni, nati spontaneamente dalla Madre-Terra? Oppure è semplicemente una definizione di comodo per indicare un popolo precedente alle invasioni mitiche? O, ancora meglio, il popolo che si trovava sull’Isola prima dell’invasione che volta per volta viene narrata?
Il mistero rimane.
Quello che è certo che, in una visione abbastanza tipica, gli abitanti ricevono “da fuori” la civiltà (costruire le città, ad esempio). E che chi c’è prima viene assoggettato da chi arriva dopo.
E in Sardegna, “dopo”, ne arrivarono davvero tanti.

Una piccola nota
Ringrazio il prof. Ugas per avermi fornito le fonti classiche che trattano dell’argomento della colonizzazione mitica della Sardegna. E’ ovviamente chiaro che tutto quanto compare in questi post è esclusivamente frutto delle mie interpretazioni (e della mia cattiveria).

domenica 17 ottobre 2010

MIGRAZIONI - E tui, de chini sesi? 1


Esistono miti antichi, esistono miti moderni. I primi trovavano le loro origini nei racconti dei padri, i secondi a volte in qualche scoperta scientifica.
Così, a rafforzare il mito dell’isolamento degli isolani abitanti dell'Isola di Sardegna, ogni tanto spunta fuori che geneticamente nel nostro territorio ci sono aree omogenee, stabili e antiche. Ottime per farci una mappatura del DNA.

Insomma: i Sardi sono diversi dagli altri anche geneticamente. Parlando come un mito antico potremmo dire che siamo autoctoni, nati dalla Terra Madre e mai mescolati all’altra gente.
Dico “siamo”, in quanto sardo, anche se la mia famiglia pare sia essere originaria “del continente” seppur venuta in Sardegna in ere definibili quanto meno antiche...

Comunque: dando retta al DNA degli Ogliastrini, avrebbe perfettamente ragione la “tzia Maria” che c’è in ogni paese, che, di fronte all’arrivo di uno sconosciuto sulla piazza del paese, non si scompone, e chiede immancabilmente “E tui, de chinisesi?”. Cioè: “Di chi sei (figlio)?”.
Sottintendendo: “Se sei giunto qui, in quest’Isola, sei un emigrato di ritorno, non puoi essere straniero. In Sardegna ci sono e ci passano solo i Sardi" (con l'esclusione dei carabinieri e dei nobili sfruttatori).
Miti moderni, appunto.

Perché nel mito antico, la Sardegna, isola al centro del Mediteraneo Occidentale, era un vero “porto di mare” (ci si perdoni il gioco di parole), come la sua posizione e le sue ricchezze implicavano.
La popolazione era ritenuta comunque di origine assai mista: non meno di tredici popoli avrebbero dato origine ai Sardi! Un’Isola che, ai tempi della leggenda, riceveva uno sbarco di coloni oggi e uno domani. E non tutti i miti nascondevano dietro l’apparenza dell’antichità una pretesa di dominio recente.
Alla faccia della continuità genetica e dell’isolamento...

Questa serie di post vuole condurre i “continentali” e anche i sardi a scoprire da dove, secondo il mito classico, venivano i Sardi.
Ma non abbiate paura: se temete provenienze aliene, atlantidee o di Shardana\popolo di Dan e quant’altro... beh, questi sono miti moderni che vedremo un’altra volta.

Una piccola nota
Secondo altri miti moderni, i Sardi sarebbero tutti immancabilmente testardi, ospitali, pastori, chiusi nei paesi dell’interno, terragni e non marinai, incapaci di parlare senza raddoppiare le consonanti...
Peggio ancora, una trentina di anni fa c’era il mito che tutti i sardi fossero rapitori.
Una visione molto da “esterni”, a dire la verità!
Certo, anche tra gli abitanti della mia Isola c’è chi sottintende che i "veri sardi" siano solo quelli dotati di una sorta di “sangue puro” tradizionalista (pastore, ospitale, testardo etc. etc.) riservato a chi vive nelle montagne dell’interno. Ma se analizziamo i dati documentali della storia e non le convinzioni aprioristiche (la parola “miti” intesa in senso negativo, appunto), questa è una tradizione che ha avuto valore sempre solo per una porzione neppure maggioritaria della popolazione isolana.

L'unica "convinzione" che ha valore scientifico riguarda il fatto che in Sardegna si
trova un'alta percentuale di centenari. Non dobbiamo preoccuparci troppo, però: l'inquinamento aumenta anche da noi, e i dati sulla longevità potrebbero presto diventare solo un altro mito...

domenica 3 ottobre 2010

MIGRAZIONI – Corna, bugie, spergiuri e tribunali 4


Abbiamo raccontato la nascita, l’ascesa, gli amori e le conquiste di quel gran bugiardo chiamato Minosse. Oggi vi racconteremo il suo tramonto e la sua fine.

Minosse, figlio di Zeus, regnava incontrastato a Creta (paese di bugiardi), con due crucci: il toro bianco che era divenuto involontariamente l’amante della moglie, e il Minotauro, frutto di questa immonda unione. Mente il secondo era stato chiuso nel Labirinto costruito da Dedalo, il primo scorrazzava selvaggio e incontrollabile per tutta l’isola.
Forse memore del fatto che il toro era un dono di Poseidone, e delle conseguenze nefaste dell’averlo tenuto in vita, Minosse fece ben poco per catturare la bestia.
Tuttavia il re non si oppose quando a Creta giunse suo fratellastro Eracle (Ercole, alla latina), un altro semidio figlio di una delle tante avventure terrene di Zeus. Eracle doveva assolvere a una delle sue fatiche catturando il toro e portandolo alla corte di Euristeo di Micene: Minosse gli diede via libera, e l’eroe forzuto non fallì l’impresa, catturando il toro e portandolo sul continente.

Quanto al problema del Minotauro, Minosse se lo vide risolto in maniera imprevista dall’ateniese Teseo, figlio di Egeo re di Atene (o, secondo altri, di Poseidone il dio del mare).
Come forse ricorderete, gli ateniesi erano stati sconfitti da Minosse, e costretti a pagare uno spietato tributo: ogni anno dovevano inviare a Creta sette ragazzi e sette fanciulle vergini che dovevano servire da pasto per il Minotauro.
Anche quell’anno giunse la nave ateniese, ma uno dei sette ragazzi era Teseo, già celebre per aver sterminato la razza di manigoldi e assassini che spadroneggiava lungo l’Istmo di Corinto.
All’arrivo della nave, Minosse si comportò come il suo solito: una delle ragazze attirò le sue attenzioni, e il re ne avrebbe approfittato seduta stante.
Teseo si oppose, proclamandosi figlio di Poseidone. Minosse, ancora una volta piuttosto blasfemo e irrispettoso nei confronti del dio del mare, innanzitutto si permise di affermare che il dio non aveva certo rispettato le fanciulle che gli erano piaciute. Poi sfidò Teseo a dimostrare la sua origine divina: il re gettò un anello nel mare e disse che avrebbe riconosciuto Teseo come figlio di Poseidone solo se l’ateniese avesse riportato il gioiello.
Teseo, che non si piegava a nessuno, disse che l’avrebbe fatto solo dopo che Minosse avesse dimostrato di essere figlio di Zeus. Il ragazzo era sfrontato, ma Minosse non poteva accettare una sfida a casa sua: invocò Zeus, e subito il padre mandò un lampo e un tuono.
Possiamo immaginare il ghigno soddisfatto di Minosse quando si girò verso Teseo, ma il giovane si era già tuffato: un gruppo di delfini portò l’eroe al palazzo delle Nereidi e lì Teti (secondo altri si trattava di Anfitrite) diede a Teseo l’anello e una corona ingioiellata, dono nuziale di Afrodite.

Quando l’eroe riemerse, Minosse fu costretto a ingoiare il rospo, ma qualcun altro notò il ragazzo: era Arianna, la giovane figlia del re.
La ragazza, nella notte, si avvicinò di nascosto alla stanza dove Teseo riposava in attesa di esser condotto al Labirinto. Arianna portava con sé due doni per l’eroe: una spada per uccidere il Minotauro e un gomitolo di filo magico, dono di Dedalo, per ritrovare la strada d’uscita dal Labirinto. In cambio Teseo gli donò la corona e promise di portarla con sé e sposarla.

Teseo compì l’impresa: uccise il Minotauro, portò in salvo i compagni e fuggì con Arianna da Creta. Minosse non la prese bene, ma alla fine si riconciliò con Teseo, divenuto nel frattempo re di Atene: il giovane gli aveva rubato una figlia (che poi Teseo abbandonò per ordine di Dioniso), ma gli aveva eliminato la scocciatura e la vergogna del Minotauro. Per suggellare questa pace, Minosse diede in moglie a Teseo un’altra figlia, Fedra: anche questa unione, però, non fu fortunata.

C’era però un altro ateniese che Minosse non aveva proprio intenzione di perdonare: l’inventore Dedalo. C’è chi dice che Dedalo fosse stato chiuso nel Labirinto subito dopo aver permesso l’unione tra Pasifae, la moglie di Minosse, e il toro. Se non accadde a quel tempo, di sicuro fu allora che Minosse rinchiuse nel Labirinto Dedalo e suo figlio Icaro, come ricompensa per aver dato il gomitolo magico ad Arianna.
Ma Dedalo creò delle ali con piume e cera: con esse l’inventore e il figlio fuggirono dal Labirinto.

Minosse uscì fuori dalla grazia di dio: voleva vendicarsi di Dedalo!
Non sapeva che l’ateniese era già stato punito: disobbedendo agli ordini del padre Dedalo, Icaro era volato in alto troppo vicino al Sole, e il calore aveva sciolto la cera delle ali.

Il povero ragazzo precipitò in mare, dove trovò la morte, mentre il padre giunse alla fine in Sicilia, alla corte di Cocalo, re di Camico. Qui costruì grandi monumenti… e dei giochi per le figlie del re.

Minosse organizzò la sua flotta e veleggiò verso occidente.
Ma come stanare l’ingegnoso inventore?
Minosse era uno spergiuro e un bugiardo, ma non era uno sciocco: sapeva che Dedalo non avrebbe resistito a una sfida che solo lui poteva risolvere. Così il re, ovunque sbarcava, mostrava una conchiglia di Tritone, e prometteva una grande ricompensa a chi fosse stato in grado di farci passare attraverso un filo di lino.
Cocalo propose la sfida al suo inventore, e Dedalo ci riuscì genialmente, come al suo solito: fece un forellino nella conchiglia e vi versò dentro del miele; poi prese una formica e le legò attorno un filo sottilissimo; quindi fece entrare la formica nel foro e l’insetto, mangiando il miele, attraversò tutta la conchiglia. Infine Dedalo annodò un filo di lino all’estremità del filo sottile attaccato alla formica… e il gioco fu fatto.

Cocalo andò a reclamare il premio, e Minosse fu come al solito un pessimo pagatore: invece che pagare quanto promesso, fece la voce grossa e reclamò la consegna di Dedalo, l’unico uomo in grado di compiere l’impresa. Non sappiamo se Cocalo, vedendo la flotta cretese, abbia ceduto subito, ma le sue figlie non erano d’accordo: mai e poi mai avrebbero rinunciato a colui che inventava per loro dei giochi così splendidi.
E così tramarono con Dedalo: mentre Minosse si godeva un bagno tiepido, attraverso un tubo nascosto Dedalo fece scendere sul re acqua bollente, o secondo altri pece. Sta di fatto che il re di Creta ci restò secco all’istante.
Ma le sue vicende sarebbero durate anche nell’aldià

Infatti, morto nella sua vasca da bagno più di Marat, Minosse, fedifrago, bugiardo, empio, cornificatore e cornuto concluse la sua carriera mortale basata su bugie e tori, e ne iniziò una nuova, ben più appagante: finì agli Inferi... col ruolo di giudice dei morti, poiché gli dei lo riconobbero come uno dei più giusti tra gli uomini. Visto il curriculum di Minosse, c’è da chiedersi quale fosse il livello di moralità degli altri!
Al suo fianco, nel tribunale infernale, sedevano fratello Radamanto, ormai riconciliato, ed Eaco, un tempo suo rivale.

Lì, secoli dopo, lo ritroverà durante il suo mistico viaggio Dante Alighieri. Ma del regale Minosse rimaneva ben poco: una bestia mugghiante dalla testa di toro, con una grande coda serpentina che si avvolgeva su sé stessa, indicando al peccatore il cerchio cui era destinato.



Coming Soon

La nostra descrizione sulle migrazioni prosegue!
Ci prendiamo una pausa dalla Grecia, dove Cadmo, fratello di Europa, avrebbe fatto furore, e seguiremo Dedalo: continuando a migrare verso Occidente, l’inventore, lasciata la Sicilia, arrivò in Sardegna. Qui si mise al servizio di altri celebri emigrati\immigrati, i figli di Eracle e delle figlie di Tespio, ovvero i Tespiadi. E per loro fabbricò…
Ma di questo parleremo in un prossimo post, il primo della serie dedicato ai colonizzatori mitici della Sardegna.




Alcune piccole note...
Il toro di Creta catturato da Eracle fu lasciato libero da re Euristeo. La bestia fuggì lungo l’Istmo di Corinto giunse sulla piana di Maratona, in Attica. Qui Teseo lo uccise, secondo alcuni mitografi prima del viaggio di Teseo a Creta.

Secondo alcuni il tributo di quattordici fanciulli doveva essere inviato non ogni anno, ma ogni nove anni, cioè al termine di un Grande Anno.

Il mito di Icaro trova una corrispondenza in un mito degli indiani Zuni. Tra loro si narra di un giovane che, innamorato di un’aquila femmina che aveva allevato, la liberò e, tramutatosi a sua volta in uccello, la seguì fino alla Montagna di Turchesi. Qui fu dato al giovane un abito da aquila, ma anche l’ammonizione di non volare oltre la catena di montagne che si vedeva all’orizzonte. Ma un giorno, mentre volava, il giovane fu preso da una sensazione di potere tale che violò il divieto, superò la catena e vide la città dei morti. Dopo varie vicende, come accadde a Icaro, anche al giovane fu strappato l’abito da aquila e il ragazzo precipitò schiantandosi al suolo.

venerdì 17 settembre 2010

MIGRAZIONI – Corna, bugie, spergiuri e tribunali 3



Abbiamo parlato di Minosse e delle bizzarre conquiste amatorie sue e della moglie.
Ora parleremo delle sue conquiste belliche, scoprendo che anche qui ritroviamo la miscela di magnetismo animale e spregiudicatezza nel fare promesse: le caratteristiche del nostro Minosse, insomma.

Minosse fu un grande condottiero: quando gli Ateniesi uccisero a tradimento suo figlio Androgeo, il re di Creta guidò una potente armata per ottenere vendetta.
Innanzitutto, con la sua armata cercò di impadronirsi dell’Istmo di Corinto, e in particolare di Megara. Su questa città regnava Niso, che era invincibile in virtù di un capello d’oro (alcuni dicono di porpora) che gli cresceva in testa.
Mentre l’assedio proseguiva senza successo, Scilla, la figlia di niso, vide più e più volte il re dei Cretesi e, supponiamo vittima del suo magnetismo animale, se ne innamorò. Riuscì a combinare un incontro segreto col re e in quella circostanza, promise a Minosse che avrebbe tagliato il capello fatato (e fatale) del padre, in cambio minosse promise di sposarla.

E qui torna la caratteristica inaffidabilità del re: perché Scilla face ciò che aveva promesso, cioè tagliò il capello uccidendo così Niso e facendo cadere la città nelle mani cretesi, ma Minosse, invece, inorridì per il parricidio (e che? Non poteva inorridire la momento della proposta?) e non solo rifiutò di onorare la promessa di nozze, ma anzi legò Scilla alla prora della sua nave, facendo annegare la ragazza.

Presa Megara, Minosse assediò Atene: gli dei, non si sa perché, furono ancora dalla parte di questo spergiuro, e mandarono una pestilenza contro la città.
Per evitare guai peggiori gli ateniesi furono costretti ad accettare le dure clausole del trattato di pace: avrebbero fornito ogni anno sette fanciulle e sette fanciulli, che sarebbero stati condotti nel Labirinto per fare da nutrimento al Minotauro... per il nostro re di Creta, così come accadeva per il resto dei Greci antichi, la vendetta poteva diventare un motivo di guadagno, seppur particolare!

Tornato in patria, la vita di Minosse fu funestata da un lutto: suo figlio, il piccolo Glauco morì annegato nel miele, ma i Cureti gli dissero di non disperare: il bambino poteva essere resuscitato dall’uomo che avrebbe saputo descrivere meglio di altri il colore di una certa vacca delle mandrie reali che cambiava colore tre volte al giorno (altro bovino particolare in terra cretese...): essa al mattino era bianca, poi diventava rossa ed infine nera, il mattino dopo il ciclo ricominciava.
L’indovino Poliido figlio di Cerano, nativo di Argo (o di Corinto) ci riuscì: la vacca era come la mora, che nasce bianca, poi diventa rossa e quando è matura nera.
Come premio, Poliido fu rinchiuso con il cadavere del piccolo (forse nel Labirinto) ed ebbe l’ordine di non uscire finché non avesse resuscitato Glauco. Immaginiamo la perplessità di Poliido: indovino sì, ma resuscitatore di morti, proprio no!
Mentre rifletteva vide un serpente avvicinarsi al cadavere del bimbo: l’indovino lo uccise. Poi entrò un secondo serpente: vedendo il primo serpente morto, si allontanò, poi tornò con un’erba con cui strofinò il compagno, che subito resuscitò. Poliido prese l’erba e, massaggiando con essa il cadavere di Glauco, riuscì a resuscitare il bambino.
Minosse si rivelò ancora una volta ben lontano dall’ideale di re giusto e onesto con cui è passato alla storia: si rifiutò di lasciar andare via Poliido finché non avesse insegnato a Glauco l’arte della profezia. A malavoglia Poliido completò l’educazione del fanciullo, ma quando finalmente ebbe il permesso di partire, salì sulla nave che salpava e sputò in bocca a Glauco: questi perse ogni potere profetico.

Per una volta il re spergiuro era stato giocato. Ma non sarebbe stata l’ultima...


Alcune piccole note...
I legami mitici tra Creta ed Atene sono molteplici: ricordiamo il mito di Androgeo e dell’invio delle vittime per il Minotauro; poi quello di Teseo, principe e poi re di Atene, amante di una figlia di Minosse e marito di una seconda figlia; quello del toro amante di Pasifae poi divenuto il toro di Maratona; quello di Procri, che curò il re dalla sua maledizione sessuale, figlia del re di Atene Eretteo; quello di Niso re di Megara, che sarebbe nato ad Atene; quello di Dedalo, ateniese in fuga a Creta… forse solo al RPGS, la Royal Pseudo-Geogaphic Society potrebbe approfondire questo argomento con sufficiente competenza.

Secondo un mito, gli dei si impietosirono di Scilla e la trasformarono in airone. Niso sarebbe stato mutato in un’aquila marina.

Il mito di Glauco annegato nel miele sarebbe il ricordo dell’usanza cretese di mummificare i corpi dei defunti immergendoli, appunto, nel miele.

Secondo alcune versioni, Glauco non sarebbe stato resuscitato grazie a Poliido, ma direttamente dal sommo medico Asclepio, figlio di Apollo. Asclepio ripeté l’impresa con Ippolito, figlio di Teseo. Ade, signore dei morti, già stanco di perdere clientela a causa delle guarigioni del grande medico, non tollerò che gli venisse tolto anche ciò che era già suo: si lamentò con Zeus che fulminò il nipote.
Ma Asclepio poi sarebbe resuscitato come dio della guarigione.

mercoledì 15 settembre 2010

MIGRAZIONI – Corna, bugie, spergiuri e tribunali 2


Abbiamo detto che tutti i cretesi sono bugiardi. Anzi. Lo dicevano i cretesi stessi.
Tra le varie storie più o meno inverosimili che tramandarono agli altri Greci, abbiamo riportato quella che narra di come Minosse, divenuto re di Creta, alla faccia della sua leggendaria giustizia, si rifiutò di rispettare un giuramento da lui fatto: non sacrificò a Poseidone il toro che il dio mandò dal mare, per aiutare il nipote a rivendicare il trono.
Strana gente questi semidei: proprio loro che ne sono figli o discendenti, fanno finta di non conoscere la permalosità e l'implacabile sete di vendetta dei propri parenti divini. Forse Minosse contava sulla protezione del padre...
E in effetti Poseidone non si vendicò direttamente sul nipote fedifrago: preferì usare Pasifae, la bella moglie di Minosse, figlia del Sole.

L'unione tra i due era stata feconda: Androgeo, Catreo, Deucalione II, Glauco, Arianna, Fedra e altri figli avevano dimostrato quanto il figlio del dio-toro avesse a letto il vigore taurino del padre.
Anzi: il re non risparmiava delle sue attenzioni nessuna donna piacente dell'isola. Britomarti preferì buttarsi da una rupe pur di sfuggire alle attenzioni del re, mentre Peribea non sfuggì alla sua passione e le ninfe Paria e Dessitea gli diedero dei figli.

Per ripicca o per gelosia, la legittima sposa maledisse Minosse, e con successo: ogni volta che il re aveva un rapporto sessuale, dal suo membro uscivano serpenti e scorpioni. Possiamo immaginare la soddisfazione delle partner...
Minosse si salvò solo grazie a Procri, che in cambio di alcuni doni magici (un cane cui nessuna preda poteva sfuggire e un giavellotto infallibile) accettò di donargli l’ “erba di Circe”, che guarì il e dalla maledizione. Minosse, spergiuro, credeva forse che tutti fossero come lui, quindi costrinse Procri alla garanzia “soddisfatti o rimborsati”: fu proprio Procri a dividere il letto con Minosse e a verificare (immaginiamo con quanta apprensione) che il rimedio in effetti era efficace.

Nel frattempo Pasifae (immaginiamo) dovette rassegnarsi all'astinenza con il legittimo consorte. Ma forse la regina era già distratta da altro: per effetto dell'ira di Poseidone (anche se non si esclude un intervento vendicativo di Afrodite), Pasifae si era innamorata del bellissimo toro... Sì, proprio del toro che il marito non aveva voluto sacrificare.
Una passione bruciante, certo, inestinguibile, ovvio, insoddisfacibile (scusate l'invenzione linguistica) anche se non per volontà della dama. Lei sarebbe stata anche consenziente, ma c'era il fatto che il toro si trovava bene nella mandria di Minosse, si godeva il suo harem e non voleva (giustamente) sapere di null'altro che non fosse una vacca.
Così la povera Pasifae si struggeva d'amore non corrisposto.

Ma, come nelle epoche attuali, la scienza viene incontro laddove la natura impedisce. A Creta si era rifugiato Dedalo, geniale inventore ateniese che aveva ucciso il nipote Talo (allievo che stava già superando il maestro) gettandolo giù dall'Acropoli.

L'inventore, da buono scienziato, non si mise scrupoli di coscienza: voleva vedere il suo genio prevalere su una natura che contrastava il volere dell’uomo. Così ideò una struttura cava di legno ricoperta di pelli di vacca, talmente perfetta da ingannare chiunque. E anche il toro si fece ingannare: come era suo solito appena vedeva una nuova vacca, andò a montarla, solo che stavolta l’essere era artificiale… e dentro c’era nascosta Pasifae, che così poté vedere le sue voglie appagate.

Sopresa sopresona, la regina rimase incinta. Ma quando nacque il bambino, questo era mostruoso: aveva il corpo umano e la testa di toro!
Il Minotauro, insomma.
I mitografi dicono che Minosse era venuto a sapere dell’accoppiamento proibito, e quindi aveva stabilito che il bambino mostruoso non poteva che essere figlio del toro. Ma non possiamo escludere che il re, in fondo figlio anche lui di un toro, non avesse avuto il dubbio che quella mostruosità fosse frutto dei suoi lombi (magari come effetto collaterale di serpenti e scorpioni). Sta di fatto che Minosse aveva già imposto a Dedalo di non lasciare Creta per punizione (o forse per ammirazione del suo genio e con pensiero di poterlo avere a suo esclusivo servizio), e ora lo obbligò a risolvergli la patata bollente: uccidere il bimbo non si poteva (in fondo era una punizione per gli spergiuri del re, questo era certo), ma non si poteva neppure lasciarlo in giro...
Così Dedalo concepì il famoso Labirinto di Creta, la casa dove il Minotauro, chiamato Asterione, attendeva le vittime che Minosse gli avrebbe procurato.
Ma questa era un’altra faccenda, e non fermò gli spergiuri di Minosse.


Alcune piccole note...
Si dice che Minosse sia stato l’inventore del rapporto omosessuale: il giovane Mileto, Ganimede e perfino l’eroe ateniese Teseo sarebbero stati suoi amanti.

Lo strano amante di Pasifae non potè godersi il suo serraglio vaccino in tranquillità: giunse dal continente Eracle, altro bastardo di Zeus. L'eroe, su incarico del cugino Euristeo re di Micene, doveva catturare il toro di Creta per compiere una delle sue celebri fatiche.
Minosse acconsentì che il fratellastro catturasse il toro, ed Eracle lo portò con sé nel continente. Euristeo, poi, lasciò in libertà il bovino. La bestia vagò per il Peloponneso, l'Istmo e l'Attica portando devastazione, finché proprio Teseo, “cugino” (pare che il suo padre divino fosse Poseidone, anche se suo padre umano era Egeo) lo catturò di nuovo a Maratona.

Il Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, si nutriva di carne umana. Perché un mezzo bovino sia necessariamente carnivoro è un simbolo complesso da spiegare…

“La casa di Asterione” è un racconto breve, meraviglioso, di Josè Luis Borges. Leggetelo, come vi invitiamo a leggere tutta la produzione del maestro del fantastico argentino: ne vale la pena.

martedì 7 settembre 2010

MIGRAZIONI – Corna, bugie, spergiuri e tribunali 1



I cretesi? Erano tutti dei gran bugiardi.
Ce lo garantisce Epimenide, che era cretese, e se non conosceva lui i suoi compatrioti... generando così un bel paradosso: se Epimenide diceva la verità, almeno un cretese (Epimenide stesso) non sarebbe stato bugiardo. Ma se diceva la verità, allora tutti i cretesi sono bugiardi, quindi anche lui, quando afferma che tutti i cretesi sono bugiardi, mente... e così via all'infinito.

Ci interessa proprio tanto questo sproloquio? Beh, sì.
Intanto perché i Cretesi (bugiardi?) dicevano che Zeus non solo è nato a Creta, ma lì muore ogni anno e ogni anno risorge. Tanto che ne mostravano la tomba. Zeus, il padre immortale degli immortali, che muore? Mah...

Poi perché proprio da Zeus derivò la stirpe che rese celebre Creta. Una stirpe che ha avuto degli strani rapporti (in senso letterale, a volte) con i tori, con le bugie e con i tribunali. E soprattutto dei veri “extracomunitari” dell'epoca eroica: erano cioè barbari di origine.
Ma andiamo in ordine.
Erodoto di Alicarnasso (padre della storia e pare gran bugiardo anche lui, benché non fosse un cretese) dice che il primo rapimento avvenuto tra Asiatici e Greci fu quello che coinvolse Europa, figlia di Agenore.
Costui lo abbiamo già nominato nella strana genealogia di Danao: sarebbe discendente di Io, la figlia del fiume Inaco (nell'Argolide) concupita da Zeus e (si dice) trasformata in vacca. Comunque sia andata, Agenore, fosse o meno un greco emigrato di terza generazione, regnava sulla costa libanese o giù di lì.
Sua figlia Europa (toh! L'eponima del nostro continente era nata in Asia!) giocava sulla riva del mare quando il bisnonno Zeus, evidentemente non morto, ma anzi ben vitale, la vide e la concupì.
A Zeus piaceva sollazzarsi con le belle donne mortali, fossero o meno sue parenti. Ma temeva l'ira della mogli legittima, Era, quindi amava trasformarsi per godersi in incognito le sue conquiste.
Invece che mutarsi in passerotto bagnato, in cigno, nel marito della spasimata o in pioggia d'oro (i mitografi non sono per lo più cretesi, quindi bisogna dar loro credito), stavolta si tramutò in toro, un bellissimo toro.
Questo toro\Zeus andò pigramente sulla spiaggia dove giocava Europa. Le fanciulle che accompagnavano la principessa si spaventarono, ma lei no: il toro sembrava così mansueto...
Europa trovò il coraggio, e iniziò a mettere ghirlande sulle corna del toro: lui stava quieto, anzi si accovacciò. Europa trovò un altro po' di coraggio e, spinta dalla curiosità, si sedette in groppa del nostro toro (honni soit qui mal y pense).
D'improvviso la bestia si alzò con Europa in groppa, e scattò verso il mare: la povera fanciulla si strinse alle corna per non cadere, e dopo poco tempo vide la riva allontanarsi. Immaginiamo che Europa non sapesse nuotare, e che Zeus\toro fosse veramente infaticabile (ancora una volta non pensate male... per ora, almeno!), perché portò la sua preda fino a Creta.
Qui il dio del cielo riassunse la sua vera forma, sedusse la ragazza (possiamo immaginare in quale stato mentale fosse la giovane) e la mise incinta.

La ragazza poi fu accasata con Asterione, il re del paese e privo di figli: matrimonio riparatore, certo, ma Zeus tornò più volte a trovare la sua amata, perché, dicono i mitografi cretesi e non cretesi, i figli di questa unione furono ben tre: il famoso Minosse, il fratello quasi altrettanto famoso Radamanto, e Sarpedone, destinato a minor gloria.

Alla morte di Asterione questi tre baldi immigrati avrebbero preso il potere, dando origine alla seconda delle grandi famiglie nobili della Grecia: discendenti di una straniera e di sangue non esattamente greco puro.

Solo che ci furono problemi tra fratelli, e Minosse prevalse sugli altri solo perché si rivelò un sovrano adatto a un popolo di bugiardi.
Sfidato a provare il suo diritto al trono, Minosse invocò suo zio Poseidone, fratello di Zeus, affinché mandasse un segno che confermasse le sue pretese: se il dio delle acque avesse mandato non un cavallo (animale a lui sacro), ma l'animale di famiglia, un toro, Minasse glielo avrebbe sacrificato. E subito dal mare si levò un toro bellissimo: gli altri pretendenti tacquero, sconfitti.

Solo che il toro era davvero troppo bello, e forse ricordava “papà” al nuovo re. Sta di fatto che, una volta vinta la disputa, Minosse non si sentì di immolarlo in sacrificio come aveva promesso.
E qui il nuovo re, che sarebbe stato ricordato per la giustizia delle sue leggi, fece il furbo e lo spergiuro: rinnegò la parola data, fece un sacrificio alternativo (ma meno oneroso) e pensò che le cose sarebbero finite lì.
Per sua sfortuna non sarebbero finite lì...

Alcune piccole note...
Le monete greche da due euro ricordano proprio il mito del rapimento di Europa.

Alla scomparsa di Europa, Agenore fu disperato: ordinò ai suoi figli di cercare la ragazza e di non tornare senza di lei. Nessuno la trovò, e nessuno tornò, ma divennero immigrati famosi, eponimi di terre famose. I nomi dei suoi figli erano Fenice (eponimo della Fenicia, più o meno l'attuale Libano), Cilice (eponimo della Cilicia, regione costiera dell'Anatolia davanti a Cipro) e Cadmo: ma questo è un altro celebre immigrato in Grecia, e ne racconteremo la storia.

Sconfitto da Minosse nella disputa per il trono, Sarpedone migrò in Licia (secondo una versione fondò la città di Mileto). Radamanto rimase a Creta e fu il redattore delle leggi talmente buone che, alla sua morte, gli dei scelsero proprio Radamanto come uno dei giudici infernali.

venerdì 27 agosto 2010

MIGRANTI - Argo e le Danaidi 2


Un pretendente al trono che torna da lontano. Per di più con 50 figlie a carico. E con una fretta maledetta di stanziarsi in città per resistere al bellicoso arrivo di 50 nipoti, figli del fratello. Ecco in sintesi la storia di Danao e delle sue figlie fino ad ora.
La storia di un "immigrato di ritorno" (anche se, forse, le sue ascendenze erano quanto meno dubbie) che, da buon eroe culturale, porta innnovazioni e nuovi culti in Grecia, ma ha il problema di far sposare le figlie con la popolazione locale.
Da lui avrà origine la nobiltà greca che così si trovò ad essere discendente di, appunto, un emigrato, delle autrici di una strage di massa e di un gruppo di corridori.
Ma vediamo come andò.

Abbiamo detto che, grazie al presagio del lupo che attacca una mandria argiva, Danao diventa re di Argo. In ringraziamento, l'egizio fonda un santuario di Apollo Licio (Apollo del Lupo), e poi aspetta. Perché il nuovo re è sicuro che i figli del fratello Egitto lo stiano inseguendo, ed è sicuro che, da buoni generi, una volta sposate le figlie, uccideranno il suocero e gli prenderanno il trono.
Ma Argo non da molte garanzie in caso di guerra: infatti è priva di acqua, e tutti possono immaginare quanto questo sia importante in una città assediata nella calda estate greca. Si dice che la piana fosse stata maledetta da Poseidone, che ritirò tutte le acque dall'Argolide perché la città preferì dichiarare suo nume protettore Era piuttosto che lo "Scuotitore di terra".
Così Danao manda in giro le sue figlie (straniere) a cercare ciò che i locali non hanno trovato: una sorgente.
Mentre vagava da sola, Amimone, una delle Danaidi, fu aggredita da un satiro che le voleva usare violenza: ma alle grida della ragazza apparve Poseidone stesso, che respinse il satiro scagliandogli contro il suo tridente. Il tridente mancò il colpo e si conficcò nella roccia, ma il satiro fuggì.
A questo punto Poseidone violentò (o sedusse, la confusione su quanto accade tra giovani anciulle umane e gli dei è d'obbligo!) Amimone, e poi le concesse di estrarre il tridente: dalla roccia sgorgò la Fonte di Amimone, che diede origine al fiume (e alla palude) di Lerna.

E il giorno tanto temuto giunse: da una nave sbarcarono 50 giovani, i figli di Egitto. Volevano ciò che avevano chiesto tempo prima: sposare una Danaide per ciascuno. In questo mito (ma anche in tanti altri) l'ereditarietà del trono sembra proprio andare per linea femminile...
Forse Egitto non si sente sicuro del suo diritto al trono, e quindi vuole l'unione tra i suoi figli e le figlie del fratello per togliere ogni dubbio. Qualche malizioso autore suppose che l'intenzione dei 50 baldi giovani fosse quella di uccidere le donne (e lo zio\suocero) dopo la prima notte di nozze.
Danao sospetta che, a prescindere dal destino delle figlie, lui comunque sarà presto eliminato. Quindi rifiuta, e i suoi bellicosi nipoti asssediano Argo.
Benchè le Danaidi si ingegnino ancora una volta, scavando pozzi (di cui almeno quatto sacri), alla fine la città deve arrendersi per sete, e Danao cede alle richieste dei figli di Egitto.

Così vengono celebrati i 50 matrimoni, con criteri di scelta degli sposi alquanto singolari: a volte una Danaide era destinata a un figlio di Egitto perché le rispettive madri avevano lo stesso rango, altre volte perché il nome di un'altra era simile a quello del futuro sposo: nei casi più "disperati" si dovette ricorrere alla sorte, con estrazione dei nomi da un elmo.
Durante la festa nuziale, però, il diffidente \ previdente padre consegnò a ciascuna figlia uno spillone da capelli: il singolare dono di nozze doveva servire a colpire a morte lo sposo non appena si fosse addormentato in seguito alle fatiche della prima notte.
Così 49 Danaidi nella notte obbedirono al padre e a mezzanotte uccisero i mariti. Solo Ipermestra risparmiò il marito Linceo: questi aveva rispettato la sua verginità, e la sposa, riconoscente, chiese consiglio alla dea (vergine e cacciatrice) Artemide. Su suggerimento divino, Linceo fuggì a sessanta stadi dalla città, in un luogo chiamato... Lincea (è dubbio se il nome ci fosse prima o dopo la sua fuga), dove, in mancanza di cellulare, accese una fiaccola per segnalare alla sposa che era arrivato sano e salvo.

Danao mise sotto processo Ipermestra per disubbidienza, ma il tribunale la assolse, sostenendo che la fedeltà coniugale prevaleva sull'obbedienza agli ordini del padre. Così Linceo potè rientrare ad Argo, ed essere riconosciuto erede al trono. Atena ed Ermes, con l'approvazione di padre Zeus, purificarono le fanciulle dal delitto, con l'acqua della Palude di Lerna.
Le teste dei figli di Egitto uccisi furono sepolte a Lerna, e i corpi ad Argo. Quando Egtto, tempo dopo, giunse in Grecia, alla notizia della fine di figli si rifugiò ad Aroe, dove morì.

Danao ora, da buon padre, aveva però il problema di "sistemare" le figlie. Bandì così una gara di corsa tra i pretendenti: chi fosse arrivato primo avrebbe il diritto di prima scelta tra le fanciulle, il secondo il diritto di seconda scelta e così via fino al quarantanovesimo classificato. Solo che i contendenti furono ben meno di 49! E a buona ragione: il premio erano le nozze con donne nobili sì, ma che erano
a) straniere
b) omicide
c) magari anche pazze e disposte a ripetere l'exploit dello spillone con i nuovi mariti...
Così solo pochi presero il rischio. Ma la prima notte delle (seconde) nozze andò bene, ovvero senza nessun nuovo morto. Così il padre replicò la corsa e stavolta il successo fu garantito: tutte le Danaidi trovarono marito.
I discendenti di queste nozze furono chiamati Danai, nome che si estese a tutti i nobili dell'Ellade dell'età eroica, che in vari modi si imparentarono con loro.
Così i Greci si poterono dire a buon titolo discendenti di un immigrato, di corridori e di un gruppo di omicide!

Lieto fine, dunque?
Beh, proprio no. Anche se le sue intenzioni non fossero state queste fin dall'inizio, ben presto Linceo uccise il suocero. Pare avrebbe voluto fare lo stesso con le cognate ma gli Argivi (dobbiamo immaginare d'accordo con i nuovi mariti delle Danaidi) glielo impedirono.
Quanto alle Danaidi, una volta defunte ebbero sorti diverse: Ipermestra fu premiata per la sua fedeltà al marito, le altre furono condannate e dai Giudici dei Morti (altri discendenti di immigrati...) a raccogliere in eterno da un fiume infernale dell'acqua... con degli orci bucherellati come setacci.
La loro punizione era, dunque, eterna.

Alcune piccole note...
Secondo altri mitografi non fu solo Ipermestra (o Ipermnestra) a risparmiare lo sposo, ma anche la sorella Amimone. In effetti, secondo alcune fonti, la condanna delle Danaidi colpisce solo 48 sorelle (Ipermestra e Amimone non sono condannate dai Giudici dei Morti).
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che Amimone ebbe un figlio da Poseidone, e ciò potrebbe essere bastato per avere l'esenzione dalla pena.
Ma si sopetta che "Amimone", ovvero "senza colpa" sia solo un soprannome, e che quindi la Danaide che risparmiò il marito alla fin fine sia stata proprio e solo Amimone\Ipermestra...

Gli Argivi celebravano diversi riti legati a questa vicenda: a Lincea celebravano una festa annuale con l'accensione di vari falò per ricordare la fuga di Linceo; celebravano altresì la cosiddetta Gara Imenea (Imeneo, figlio di Apollo e di una Musa, o di Dionso e Afrodite presideva alle nozze) per commemorare le due gare che portarono alle nuove nozze delle Danaidi.

Si narra che le Danaidi importarono i Misteri di Demetra dall'Egitto, le Tesmoforie: esse furono celebrate ad Argo fino al ritorno dei Dori. Dopo allora questi Misteri sopravvissero in Acadia.

Poseidone era stato sconfitto nella competizione per il "patrocinio" di Argo: lui e la sorella Era si contendevano questa terra, ma il fiume Inaco (l'antenato di Danao secondo la versione "greca" delle origini), e in suoi fratelli fiumi Cefiso e Asterione preferirono la dea. Il dio delle acque e dei terremoti non la prese bene, come abbiamo detto.

La vicenda del patrocinio di Argo non fu il solo caso da cui Poseidone uscì sconfitto: l'Attica gli preferì Atena; Nasso andò a Dioniso; Egina a Zeus; l'acropoli di Corinto toccò ad Elio. Poseidone ottenne solo l'Istmo di Corinto e metà di Trezene (l'altra metà toccò ad Atena... e il mito di Teseo riprende questo doppio protettorato).
A quanto pare l'unica terra che ottenne senza problemi fu Atlantide... che infatti si riprese con terremoti e inondazioni a casua dell'empietà dei suoi abitanti. Sempre che Platone non abbia inventato tutto!

Da Amimone e Poseidone nacque Nauplio il vecchio, che fu un grande navigatore: fu infatti il primo ad orientarsi sulla Grande Orsa e fondò il porto di Nauplia. Egli fu il nonno del Nauplio (II) che fu padre di Palamede e portatore di tante sventure (specie marittime) agli eroi di ritorno da Troia.

Secondo alcuni la vicenda di Amimone precede la presa di potere su Argo.

E' indubbio che tutta la storia delle Danaidi si lega al concetto dell'acqua che manca: arrivano dal mare; cercano una fonte e sono la causa del fiume e della Palude di Lerna (di cui la mostruosa Idra fu l'emblema); una di loro ha rapporti con Posedione, dio delle acque, e ne nasce un figlio navigatore e fondatore del porto di Argo; scavano pozzi; per l'eternità sono constrette a cercare di trasportare dell'acqua...

La storia di Danao ed Egitto si inserisce in una sequela di lotta tra fratelli o parenti che proseguirà e sarà tipica della famiglia: saranno rivali i nipoti di Linceo (Acrisio e Preto) e lo saranno Eracle ed Euristeo (cugini).

La gara per ottenere una donna nobile (spesso la figlia del re) in matrimonio si ritrova in vari miti: in quello di Enomao e Pelope, di Eurito ed Eracle, nella gara per la mano di Atalanta. Nella storia di Ulisse e Icario abbiamo una variante (la "fuitina" degli sposi), e se vogliamo in questo campo rientra anche la sfida proposta da Penelope ai Proci, con la gara dell'arco.
Leggermente diverso è il caso di Pelia ed Admeto, dove lo sposo dovette aggiogare al carro delle fiere per ottenere le nozze.
E' da ricordare come, nel caso di Enomao e di Eurito, queste gare sfociarono con la morte del vecchio re.
Il mito di Danao è una variante: Linceo non partecipa alla gara ma uccide comunque il suocero.

L'uccisione del vecchio re da pare del nuovo re\paredro della donna che garantiva la regalità ha quindi due varianti: da un lato l'uccisione è fatta dal genero, dall'altra è il figlio o il nipote. Quando l'uccisione nasce da una rivalità sucoero\genero, la premeditazione è spesso dichiarata (vedi il mito di Pelope); quando risale alla parentela diretta, il mitografo "addolcisce" la vicenda e inserisce un elemento di fatalità per cui l'uccisore non riconosce l'ucciso.
Anzi, spesso, il futuro omicida sta cercando la futura vittima per riconciliarsi con lui. Così accade nel mito di Perseo e Acrisio (nipote e nonno), in quello di Telegono e Ulisse (figlio e padre), di Altemene e Catreo (figlio e padre)... Edipo uccide il padre Laio non sapendo chi ha di fronte.

Un'ennesima variante è quella del mito di Egeo e Teseo: il figlio è la causa indiretta della morte del padre (suicida).

Il numero di figlie di Danao (e di figli di Egitto) è convenzionale: 50 sono i Tespiadi figli di Eracle, 50 l'insieme di figli e figlie di Priamo, 50 sono le Nereidi (che però talvolta arrivano fino a 100, ovvero 50+50).
Secondo Graves (I miti Greci, 60.3) 50 era il numero delle sacerdotesse della Luna, riunite in collegio e incaricate di far piovere nel paese con riti magici.

L'idea che i figli di Egitto intendessero sposare le figlie di Danao e poi uccidere il suocero rientra nella logica che vede il re\sposo della dea, ormai vecchio, venisse sostituito e ucciso dal nuovo re\nuovo sposo della sacerdotessa rappresentante la dea, in modo da avere sempre un sovrano "vigoroso" e fertile che garantisse in questo modo la fertilità del suolo.
Il fatto che Danao anticipasse i generi, lo mette nella stirpe di Caino: secondo alcuni Caino non era più malvagio di Abele, ma solo più veloce, e uccise il fratello prima che questi potesse fare lo stesso con lui!

Come abbiamo accennato, la radice dei "migranti" Danao\Danaidi si può collegare a quella della celtica Dea Danu, da cui discesero i Tuatha dè Dannan, le popolazioni divine che invasero l'Irlanda nell'età mitica. Altri immigrati...