domenica 20 settembre 2009

MITOLOGIA DEL MEDIO ORIENTE - Le strane generazioni di Kumarbi

Alcune nascite della mitologia greco-romana lasciano sempre un po' stupiti: da Dioniso\Bacco partorito dalla coscia di Zeus\Giove, ad Atena\Minerva che nasce dalla testa del re degli dei, abbiamo una lunga sequenza di parti davvero singolari.
Come dimenticare poi la Madre Terra messa incinta di Erittonio da un batuffolo di lana sporco dello sperma di Efesto? O Pegaso e Crisaore, figli di Poseidone nati dal corpo decapitato della madre Medusa?

Da questi pochi esempi sembra che gli dei avessero la capacità del parto mostruoso, perchè la generazione divina è ben diversa da quella umana.

Così, altrettanto singolare è la nascita di Afrodite, dea dell'amore, dalla spuma del mare. Quando Crono detronizzò il padre Urano, lo castrò con un falcetto: gocce del sangue paterno caddero nel mare generando la dea... mentre altre gocce cadute sulla Madre Terra diedero vita alle Melie, le dolci Ninfe dei Frassini e a ben più mostruose creature come le Erinni e i Giganti.

A detta di studiosi come Robert Graves, autore del fondamentale "I miti Greci", alla base di questo mito ve ne sarebbe un altro più antico, diffuso tra gli Hurriti e gli Hittiti intorno al secondo millennio a.C.: la storia del dio Kumarbi.

Anche in questo caso si parte da una rivolta di palazzo contro il re degli dei: Alalu regna per nove anni sugli dei, ma il suo coppiere Anu il dio del Cielo lo sconfigge e prende il suo posto. Kumarbi prende il posto di coppiere del nuovo re.
Dopo altri nove anni nasce un conflitto tra i due: Kumarbi è detto "prole di Alalu", e forse in questo si deve vedere la ragione della guerra. Nello scontro lo splendore di Kumarbi è tale che Anu non lo tollera, e si dà alla fuga.
Kumarbi insegue il suo sovrano e, come dicono i testi, "gli morde le ginocchia e ingoia la sua virilità" (sic!). Ma Anu ha già preparato la sua vendetta: Kumarbi sarà sì il nuovo re, ma è anche incinta di tre grandi dei, il cui padre è Anu!
Kumarbi sputa subito il tutto sul monte Kanzurra, ma la terra dove cade il suo sputo genera i tre dei profetizzati: Tesub, dio della Tempesta, Aranzah la Tigre, dio del Fiume, e Tashmishu, il grande dio.
Tesub detronizza Kumarbi e diventa nuovo re degli dei.

Kumarbi però non cede, e si prepara a una "restaurazione" con un'altro accoppiamento singolare: si allontana dalla città degli dei, raggiunge un'enorme roccia e, sognando di generare un mostro che schaccerà il suo rivale, giace con la roccia come si farebbe con una donna. da questo strano rapporto nasce Ullikummi, il gigante di diorite, destinato a vendicare il padre rovesciando Tesub.
Per questo Ullikummi viene allevato dalle Irshirra, le dee serve di Kumarbi, che lo pongono sulla spalla destra di Upelluri (il Mondo). Ullikummi cresce, e presto la sua altezza raggiunge la dimora degli dei, il Kuntarra.

Preoccuapti, Tesub e il dio del Sole si riuniscono in conciliabolo per distruggere l'avversario, ma le prime contromosse falliscono: Ullikummi è insensibile al fascino di Ishtar, la dea dell'Amore, sconfigge Tesub e la statura del gigante di diorite costringe Hebat, sposa di Tesub, ad abbandonare il suo tempio.
A questo punto gli dei cambiano strategia: invece che affrontare direttamente Ullikummi, gli tagliano i piedi, impedendogli di avanzare contro di loro e togliendo il suo contatto con la terra. Grazie al "coltello che separò il cielo dalla terra" possono finalmente uccidere Ullikummi e ristabilire il trono di Tesub.

Secondo altre versioni riportate da Graves in appendice alla narrazione del mito dell'evirazione di Urano, lo sputo di Kumarbi avrebbe generato una dea, mentre il dio stesso era stato ingravidato dallo sperma di Anu, e aveva concepito il dio dell'amore... che gli fu staccato dal fianco da Ea, il fratello di Anu.
Lo stesso Ea avrebbe usato il famoso coltello con cui furono sepratai cielo e terra per decapitare Ullikummi.
Infine il povero Kumarbi partorisce un dio dalla sua coscia: costui guidava il carro del temporale trainato da un toro e accorse in aiuto di Anu.

Alcune note sparse...
Il mito di Ullikummi che tenta la scalata alle sedi degli dei per detronizzare il dio della tempesta sembra essere alla base di altri miti greci conme quello dei giganti Aloadi o di Tifone.

Il contatto di Ullikummi con la terra, che gli permette di crescere continuamente, è in una certa misura simile alla vicenda di Anteo, che, nella lotta, ritrovava le forze non appena toccava il suolo. Eracle lo uccise stritolandolo a mezz'aria.

Ullikummi, nato da una roccia, trova un lontano parente nel mito cinese del figlio di Yu il Grande... la cui storia sarà l'oggetto del possimo post.

domenica 13 settembre 2009

MITOLOGIA COMPARATA – Fiori di melo, tempo di spose 3


Abbiamo parlato di come in alcuni miti indoeuropei ed in particolare greci, le mele siano legate al matrimonio.
Oggi racconteremo due storie in partenza tanto simili da sembrare l'una la variante dell'altra. In esse una mela cotogna e un altro pomo (non d’oro) sono lo spunto per narrare due matrimoni. E' pur vero che queste due vicende più che al mito sembrano appartenere alla sfera della narrazione amena, ma la dea Artemide (solitamente non legata alle nozze) vi svolge un ruolo essenziale.

Ermocare Ateniese si innamorò di Ctesilla, una giovane di Ceo figlia di Alcidamante. L’Ateniese scrisse su un pomo un giuramento nel quale la ragazza si impegnava davanti ad Artemide a sposare nessun altro se non Ermocare, e lo gettò dentro il tempio di Artemide dove in quel momento si trovava Ctesilla.
La ragazza, presa dalla curiosità, raccolse il pomo e, incautamente, lesse a voce alta ciò che vi era scritto sopra: così si trovò legata al giuramento, e a nulla servì lanciare lontano il pomo, in preda alla vergogna.
Ermocare, rispettoso delle tradizioni, andò a trovare Alcidamante, e chiese in sposa Ctesilla: il padre della ragazza acconsentì, ma rimandò le nozze.
Passò del tempo: Alcidamante dimenticò la promessa e decise di fidanzare la figlia a un altro. Ma mentre nel tempio si svolgeva il rito, Ermocare entrò. Questa volta Artemide in persona intervenne, e Ctesilla si innamorò di Ermocare.
Con l’aiuto della nutrice di lei, i due giovani fuggirono ad Atene, e lì nacque loro figlio. Ma Artemide volle punire Alcidamante per non avere rispettato il giuramento suo e della figlia: Ctesilla morì di parto.
Durante i funerali, si vide una colomba levarsi dal letto funebre: il corpo di Ctesilla era scomparso. Quando Ermocare e gli abitanti di Ceo consultarono l’oracolo, esso disse loro di tributare un culto ad Afrodite Ctesilla, nuovo nome della giovane divinizzata.

La vicenda di Aconzio e Cidippe sembra ricalcata sulla vicenda di Ermocare e Ctesilla (o viceversa): i due giovani provengono dalle stesse città, seppure invertite; quasi identico è il modo in cui avvenne la loro unione e i luoghi dove ci fu il giuramento non voluto; però la conclusione è più lieta, e questa versione è più diffusa tra gli scrittori.
Si dice che un giovane di Ceo, tal Aconzio, fosse molto bello ma appartenente a una famiglia agiata ma non nobile. Andato alle feste di Delo, vide Cidippe, bella quant’altre mai: fu il classico colpo di fulmine... a senso unico.
Cidippe non si era neppure accorta del giovane, e nel corso dei festeggiamenti si recò al tempio di Artemide. Aconzio l’aveva seguita: il giovane aveva trovato una mela cotogna, e con la punta di un coltello vi aveva scritto sopra la seguente frase: “Giuro sul tempio di Artemide di sposarmi con Aconzio”; entrato nel santuario lanciò il frutto a Cidippe.
L’ingenua ragazza, incuriosita, lesse a voce alta la frase, e così fece un involontario giuramento alla presenza della dea.
Non sappiamo in realtà se Cidippe fosse disponibile a corrispondere all’amore di Aconzio, di certo il padre non ne sapeva nulla e, da buon padre ateniese, si diede da fare per trovare marito alla figlia.
Ma per tre volte, ogni volta che il padre organizzava una cerimonia di fidanzamento per lei, la ragazza si ammalava tanto gravemente che il rito doveva essere rinviato.
Appena ciò avveniva, Cidippe tornava sana.
Aconzio nel frattempo si struggeva d’amore per la ragazza, e qualcuno giunse addirittura a sospettare che avesse gettato un maleficio su Cidippe. Ma l’oracolo di Delo svelò al padre di lei la verità: la malattia era mandata da Artemide ogni volta che Cidippe stava per venire meno al suo inconsapevole giuramento.
Così il padre, prese informazioni sulla famiglia di Aconzio e trovato che non c’era nulla di indegno nell’imparentarsi con essa, acconsentì alle nozze.
Pare che i due sposini vissero insieme felici e contenti.

Nota: che sia un caso che la legge di gravità di Newton, che regola l’attrazione tra i corpi, sia stata leggendariamente scoperta grazie a una mela?

giovedì 10 settembre 2009

MITOLOGIA COMPARATA – Fiori di melo, tempo di spose 2


Proseguiamo l’esplorazione dello strano legame che unisce il mito relativo al matrimonio con una mela, spesso e volentieri d’oro.
Stavolta non parleremo, però di furti di mele d’oro, anche se l’astuzia non manca.

Abbiamo già raccontato della mela d’oro con sopra scritto “Alla più bella”: la perfida Eris, dea della discordia, la lanciò sul tavolo del banchetto nuziale di Teti e Peleo, cui assistevano tutti gli dei.
Un matrimonio, una mela d’oro... e come conseguenza la Guerra di Troia!

Ma il legame più stretto tra mele d’oro e matrimonio appare nel mito di Atalanta, dove le mele sono il mezzo che porta al matrimonio di un vergine riottosa.
Atalanta era una vergine cacciatrice, e come accadeva per altre donne della mitologia greca (o della fiaba) era assai difficile da sposare: secondo alcuni per una profezia che minacciava la sua trasformazione in animale dopo le nozze, secondo altri per devozione alla dea Artemide, altra vergine cacciatrice.
Se in altri miti per il padre a non volere dare la mano della figlia (e il regno) a un futuro genero, il caso di Atalanta era simile a quello della lirica Turandot: era la donna stessa a non volersi sposare, e anzi lei imponeva ai pretendenti una prova impossibile, con la condizione che se lo spasimante non avesse avuto successo sarebbe stato ucciso.
Atalanta era velocissima: così sfidava i pretendenti in una gara di corsa, si dice che desse al pretendente un leggero vantaggio, e che lo inseguiva con una lancia, con la quale lo uccideva non appena lo raggiungeva. Ormai molti erano stati battuti e uccisi, quando Ippomene (o, secondo altri, Melanione) decise che avrebbe tentato al prova.
Dalla sua parte aveva l’astuzia della dea dell’amore, Afrodite, sempre disponibile a sabotare i propositi di castità dei fedeli di Artemide. La dea dell’amore aveva dato al giovane tre pomi d’oro, si dice provenienti dal Giardino delle Esperidi, suggerendogli la strategia: ogni volta che Atalanta si avvicinava, Ippomene lasciava cadere una mela d’oro; Atalanta, curiosa, forse innamorata, o semplicemente avida (e se fosse così il mito avrebbe già i connotati maschilisti odierni delle teorie sulle ragioni di alcuni matrimoni), per tre volte si chinò per raccoglierne una, perdendo il ritmo, la gara... e lo stato di nubile.
Il matrimonio si celebrò, e pare che Atalanta, alla fine, non ne disprezzasse le gioie. Da vergine cacciatrice divenne un’amante fin troppo appassionata: durante una caccia lei e il marito entrarono in un santuario di Zeus (ma secondo altri si trattava di un Tempio della Madre degli Dei Cibele) e non riuscirono a trattenersi dal... “famolo in un luogo strano”. Sta di fatto che la divinità cui apparteneva quel luogo sacro punì entrambi, trasformandoli in leoni.
I Greci credevano che, in conseguenza di ciò, i leoni non si accoppiassero tra di loro, ma solo con i leopardi.

Nota: si dice che il famoso frutto proibito mangiato da Adamo ed Eva fosse una mela. E si dice anche che la conoscenza che esso diede fosse quello della sessualità...

lunedì 7 settembre 2009

MITOLOGIA COMPARATA – Fiori di melo, tempo di spose 1


Le future spose indoeuropee sapevano bene quando sarebbe arrivato il momento delle sospirate nozze: non tanto in occasione dei fiori d’arancio (scoperti quando i migranti giunsero sulle rive mediterranee) ma quando le mele arrivavano sui rami degli alberi.

In effetti vari miti legano un matrimonio alla presenza di mele più o meno dorate. Alcuni narrano del furto di una o più mele d’oro regalo di un matrimonio o come presupposto del matrimonio stesso.

Narra il mito greco che la mela d’oro poteva essere un regalo nuziale. Si racconta che, in occasione del matrimonio di Zeus ed Era, la Madre Terra avesse regalato a sua nipote un melo che produceva frutti dorati; Era, la regina degli dei olimpi, aveva tanto gradito il dono da piantare il magico albero nel suo giardino che si trovava a Ovest, alle pendici del Monte Atlante. Lì alcune versioni dicono che le Esperidi, figlie di Atlante, si occupavano del giardino, ma secondo altri in realtà le fanciulle divine rubavano abusivamente le mele. Sta di fatto che la dea pose a guardia del suo albero il drago Ladone: solo Eracle, nel corso di una sua celebre fatica, poté cogliere di nuovo quei frutti.

Un giardino con mele d’oro (con furto allegato) compare anche in una leggenda caucasica, ricordataci nel Libro degli Eroi di Dumèzil, come premessa di una storia legata a un matrimonio.
Si dice che nel giardino dei Narti crescesse un melo, i cui fiori erano azzurri come il cielo che produceva una sola mela alla volta: ed era una mela d’oro, brillante come il fuoco. Ogni vola che il frutto veniva staccato, in una mattina ricresceva.
Si narra che il magico frutto fosse in grado di guarire ogni ferita e malattia, ma per quanto i Narti facessero la guardia, qualcuno durante la notte riusciva sempre a rubarlo.
Quando il turno di guardia toccò all’eroe Uaerhaeg questi inviò nel giardino i figli Aeshar e Aeshaertaeg. Essi riuscirono a vedere che al momento in cui “giorno e notte stavano per separarsi”, tre colombe si posavano sull’albero per prendere la mela. I due campioni Narti ne ferirono una e, seguendo le tracce di sangue, giunsero al regno sotto il mare di Donbettyr, il genio delle acque.
Lì Aehsaertaeg sposò Dzerasse, la figlia del genio che si tramutava in colomba assieme alle sorelle per rubare le mele.

Un giardino e delle mele d’oro (dell’immortalità) ci sono anche nel mito del rapimento di Idhunn. I Vichinghi credevano che gli dei fossero sì immortali, ma non eternamente giovani e potenti: per restare tali, essi dovevano nutrirsi delle mele d’oro che la dea Idhunn, moglie del dio-poeta Bragi, raccoglieva nel giardino degli dei.
Era successo che Loki aveva fatto uno sciagurato patto col Gigante Thjazzi: per riavere la libertà, il briccone di Asgard aveva dovuto promettere che avrebbe rapito la dea della giovinezza (e le sue preziose mele) e l’avrebbe consegnata al Gigante. Cosa che accadde.
Le conseguenze furono disastrose: gli Aesir, gli dei del Nord, invecchiavano e incanutivano. Facendo due più due, scoprirono che Loki era stato l’ultimo a parlare con la dea. Così, dopo una serie di minacce, il Briccone dovette partire alla volta della reggia di Thjazzi per recuperare Idhunn e riportare la giovinezza agli dei.
E il matrimonio? C’è anche qui: Thjazzi morì nell’inseguire la preda che gli era stata sottratta, e sua figlia Skadhi giunse ad Asgard cercando vendetta. Per placare la furia della gigantessa, gli dei le promisero un marito inc mabio del padre ucciso. Questio marito, dopo il concorso di “bellezza podalica” narrato nel post del 16 giugno 2009, fu Njord, il dio del mare.
Poi il matrimonio non fu felice, ma evidentemente la presenza delle mele non garantisce il successo di un’unione!

Nel prossimo post racconteremo come delle mele (non rubate) entrino a far parte di alcune vicende della mitologia greca che sarebbero sfociate in un matrimonio.

Nota: ok, forse non c’entra nulla col mito, ma come dimenticare che il promesso sposo della dottoressa Elliot Reid nel serial tv Scrubs, interpreta il ruolo di un ladro di mele messicano nei loro giochini prematrimoniali???? Archetipi collettivi che a volte ritornano?

venerdì 4 settembre 2009

MITOLOGIA COMPARATA - Prima trovare, poi vendicare



Nel vasto campo della mitologia che sconfina nella fiaba (o forse è il contrario?), uno spazio importante lo merita, ovviamente, la prima impresa del futuro eroe. Raramente è il vertice della sua carriera (se vogliamo, Beowulf che affronta Grendel, in questo senso, è una "quasi eccezione"), ma indica il rito di passaggio che fa di un ragazzo "con grandi potenzialità" un vero eroe.

Spesso questa prima impresa è un collegamento con ciò che è accaduto in precedenza, è la scoperta dei suoi veri ascendenti. Ciò avviene contestualmente al ritrovamento della spada del padre, o dell'atto simbolico del riforgiarla: riunendo ciò che era spezzato, il giovane si ricollega ai suoi antenati, e sarà pronto ad affrontare la vera grande impresa cui è destinato, talvolta una vendetta.
In queste vicende spesso il padre è morto (o assente) ed è la madre a portare il ricordo della missione da compiere o del modo per riavere l'arma.

Qui di seguito vi presenteremo alcuni esempi tratti dal mondo mitico di ieri e di oggi.

Partendo dalla Cina, abbiamo lasciato in sospeso la vicenda del figlio del fabbro Kan Chiang. In un post precedente avevamo raccontato come Kan Chiang aveva fabbricato due spade meravigliose, ma non fidandosi del committente (il crudele re di Chu), aveva portato al sovrano solo una spada, e aveva nascosto l'altra: se il sovrano si fosse dimostrato onesto, Kan Chiang gli avrebbe dato anche la seconda spada, se invece si fosse dimostrato traditore, la seconda spada sarebbe servita al figlio per compiere la vendetta.
Come era prevedibile il Re di Chu fece uccidere Kan Chiang, e quando suo figlio (ahinoi! rimasto anonimo nella narrazione) fu abbastanza grande, la madre Mo-ye gli raccontò la storia della morte del padre e anche le indicazioni lasciate da questi per ritrovare la spada.
Ovviamente si trattava di un enigma: "Se esci dal portale della casa e guardi verso le montagne a Sud, scorgerai un pino che cresce sopra una roccia. In quell'albero è nascosta la spada".
Ma come trovare il nascondiglio? A sud della casa non c'erano montagne nè pini di sorta!
Poi, un mattino, mentre rifletteva sul messaggio misterioso, finaomente capì: il portale, che dava sul cortile, era ricoperto da un tetto, retto da due pilastri di legno di pino che erano collocati sopra un'architrave di pietra.
Il messaggio era finalmente chiaro: presa un'ascia, il giovane colpì il pilastro più vicino alla casa spaccandolo in due: al suo interno trovò la spada.

In Grecia si narrava che Teseo era figlio di Etra, figlia del re di Trezene. Suo padre si diceva fosse Poseidone, ma per altri in realtà egli era figlio di Egeo, re di Atene: si diceva che Etra avesse avuto rapporti con Egeo mentre questi era ubriaco.

Sta di fatto che i nemici di Egeo, figli di suo fratello Pallade, potevano minacciare la vita del bambino per assicurarsi il trono di Atene: così Egeo impose ad Etra di rivelare al figlio la verità sulla sua origine solo se questi si fosse dimostrato un potenziale eroe. La madre lo avrebbe capito se il figlio fosse stato capace di sollevare il pesante masso lungo la via tra Trezene ed Ermione, sotto cui Egeo aveva nascosto i suoi sandali e la sua spada. Questi oggetti avrebbero inoltre permsso al padre di riconoscere il figlio quando questi fosse giunto ad Atene.
Quando Teseo nacque, fu soarsa la voce che egli era figlio del dio Poseidone. Fu solo quando ebbe sedici anni che Etra lo portò alla roccia, narrandogli la sua vera origine: ovviamente Teseo sollevò con facilità il masso, e si mise sulla via dell'Attica e verso la gloria.

Nel lontano Nord, Sigurd figlio di Siegmund l'ultimo dei Volsunghi, veniva allevato dal suo patrigno Alf. Quando crebbe, fu messo al lavoro nella fucina di Reginn, che aveva imparato il mestiere dai nani, e che vedeva in Sigurd il mezzo per impadronirsi delle ricchezze custodite da suo fratello Fafnir, tramutatosi in drago.
Sifgurd chiese a Reginn di forgiargli la migliore spada del mondo, in grado di forare le spesse scaglie di ferro di cui era rivestito il drago, e Reginn promise che avrebbe fatto tale spada, mettendo insieme tutta l'abilità dei nani e la magia delle rune.

Forgiata la spada la offrì a Sigurd: questi la brandì e colpì con violenza l'incudine su cui era stata forgiata. Ovviamente la spada si ruppe in mille pezzi, e così accadde per una seconda spada forgiata dal fabbro.
In soccorso di Sigurd arrivò la madre Hjordis. Ella consegnò al figlio i tre pezzi in cui si era spezzata la spada del vero padre, Siegmund, e ricordò le ultime parole del marito: quando il figlio fosse divenuto abbastanza grande, avrebbe potuto riforgiare la sua spada, chiarla Gram e con essa divenire un eroe ancora più grande del padre.
Sigurd portò i frammenti a Reginn: quando il fabbro riscaldò i pezzi di metallo e li pose sull'incudine, questi embrarono accostarsi e saldarsi per volontà propria. Così rinacque Gram, spada in grado di tagliare un'incudine in due, e compagna di Sigurd nelle sue imprese.

Venendo a tempi più moderni, come dimenticare che J.R.R.Tolkien, l'autore di mitologia più grande del secolo ventesimo, narra che Aragorn figlio di Arathorn meritò di tentare l'impresa di diventare re del Reame Unificato nella Terra-di-Mezzo solo dopo che la spada del suo antenato Elendil fu riforgiata col nome di Narsil?

E non sembri eresia inserire Star Wars di Geroge Lucas come esempio di fiaba o mitologia moderna, poichè della fiaba (ma anche del mito) segue le strutture.
Così la vicenda di Luke Skywalker ha una sua svolta quando il ragazzo riceve dal maestro Obi-Wan Kenobi la spada (laser) che fu del padre: solo quando saprà padroneggiarla, unendo all'abilità manuale l'uso della Forza, il giovane potrà divenire il Cavaliere Jedi che salverà Galassia Lontana Lontana dalla minaccia del Lato Oscuro, compiendo ciò che al padre non era riuscito.