lunedì 31 agosto 2009

MITOLOGIA CINESE - Il sesso della Spada

Niente scandalo, tranquilli. Invece che l’uso erotico di oggetti dalle valenze più o meno falliche, oggi vi parliamo di un aspetto particolare della mitologia cinese: il sesso degli oggetti di metallo.

Badate bene: non si tratta di una pura considerazione grammaticale (come ad esempio accade in italiano, dove il termine "spada" è femminile e il "fioretto", è maschile), ma di un vero e proprio sesso dell’oggetto, a prescindere dalla parola usata per indicarlo.

Così in Cina possiamo avere campane di metallo di sesso maschile o femminile (a entrambi nel Celeste Impero piace volare per aria o nascondesi sotto i ruscelli), e altresì accade per i tamburi di bronzo: da ignoranti occidentali non possiamo dire se in effetti la distinzione sia basata su un suono più grave o più acuto.

Ma uno degli oggetti per eccellenza di tutti i miti, in Cina trova un nuovo aspetto: le spade magiche dovevano essere fabbricate tradizionalmente in coppia, una spada maschio e una femmina.
Ovviamente per produrre spade siffatte non basta il banale artigiano: serve un grande maestro-fabbro, e tutti gli dei partecipano al processo di fusione. Così i Draghi Chiao sostengono il forno, il Sovrano Rosso alimenta la caldaia, il Signore della Poggia bagna la lama al momento opportuno e il Genio del Tuono aziona il mantice.

Narra una leggenda che nel Regno di Chu vivevano due abili fabbri, Kan Chiang e Mo-ye, marito e moglie. Kan Chiang fu incaricato dal crudele Re di Chu di creare una coppia di spade, maschio e femmina.
Kan Chiang così raccoglie "il ferro dei cinque monti e l’oro delle dieci direzioni", sceglie il momento astrologico migliore, fa tutto secondo le regole, ma non riesce a fabbricare le spade.
Mo-ye allora ricorda al marito che il metallo può mutare solo se c’è il sacrificio di una persona. Così la moglie (ma per altri anche Kan Chiang fa lo stesso) getta nella fornace i propri capelli e le proprie unghie.
Nascono così due spade quale mai si vide altrove: tagliavano il ferro come il burro, e mandavano il riflesso della luna su un stagno in autunno. Erano tanto simili da poter essere scambiate tra loro, benché fossero una più larga e una più sottile; ma la differenza era talmente piccola che potevano essere riposte nello stesso fodero. Le spade furono chiamate come i fabbri che le forgiarono: Kan Chiang la spada maschio, più larga, e Mo-ye la spada femmina, più sottile.

Il fabbro Kan Chiang, però, diffida del Re: teme che alla consegna delle armi, il sovrano possa uccidere lui e la moglie per impedire che possano creare armi simili anche ai suoi nemici. Così nasconde la spada maschio e porta al Re solo la spada femmina, per metterlo alla prova.
Il re, che in effetti cercava solo una scusa per poter uccidere l'artigiano, fa uccidere il fabbro, accusandolo di aver prodotto solo una delle due spade richieste.

Mo-ye è però incinta. Al tempo opportuno nasce il figlio suo e di Kan Chiang, un figlio che cresce educato, forte, intelligente, ma con una strana caratteristica: ha le sopracciglia talmente distanti tra loro che la gente dice che tra l’uno e l'altro sopracciglio c’era la distanza di un piede!
Quando il ragazzo è abbastanza grande, secondo l’ordine che Kan Chiang le aveva lasciato, Mo-ye fa ritrovare al figlio la spada maschio, in un modo che vi narreremo in un prossimo post.

Il ragazzo giura vendetta contro il re, ma un sogno premonitore avverte il Re di Chu: egli vede un uomo, uguale al figlio di Kan Chiang, che lo minaccia con una spada lucente.
Così il sovrano pone una taglia sulla testa del ragazzo, che si deve nascondere tra i monti, incapace di trovare un modo per compiere la sua vendetta.

Nel rifugio del ragazzo, un giorno, per caso passa un viandante con cui il giovane figlio di Kan Chiang si confida. Il viandante racconta a sua volta di essere un guerriero senza patria, perché il Re di Chu ha invaso il suo paese: la vendetta del ragazzo sarebbe stata la vendetta del viandante.
Ma per riuscire ad avvicinare il re è necessario un piano che prevede un sacrificio: il viandante avrebbe mozzato il capo al figlio di Kan Chiang, e avrebbe portato la testa al Re, per guadagnarsi la fiducia del sovrano. Senza la minima esitazione è il giovane stesso a mozzarsi la testa, e il suo corpo decapitato offre la testa al viandante.

Presa la testa e la spada, il viandante è ricevuto dal Re, e mostra la testa mozzata del figlio di Kan Chiang. Il Re riconosce l'immagine che gli era apparsa in sogno, e ordina che la testa sia gettata ai cani. Ma il viandante suggerisce di bollirla: se era apparso in sogno al Re, il giovane doveva essere un demone, e la bollitura è l'unico modo per eliminare la sua influenza nefasta.
Così è fatto, ma la testa non si distrugge: anzi, gli occhi del giovane fissano chiunque si avvicini al calderone.
Il viandante persuade il Re a recarsi a vedere il prodigio: non appena il Re si sporge sul calderone, il viandante estrae la spada e mozza la testa al Re, facendola cadere nell'acqua bollente. Con una risata di trionfo anche il viandante si taglia la testa, e anche questa finisce nel calderone: solo allora le tre teste si sciolgono e si fondono tra loro, divenendo indistinguibili.

Così le teste sono sepolte insieme, e a ricordo dell'avvenuto sono eretti tre tumuli, detti "Le Tombe dei Tre Re".

In appendice due piccole note...
a) Il sacrificio che condurrà alla formazione della "testa fusa", evidentemente riprende il sacrificio necessario per la fusione del metallo: in alcune versioni, quando la fusione non funzionava, Kan Chiang rivela a Mo-ye che per forgiare una spada, il suo maestro aveva gettato la moglie nella fornace; secondo altre versioni assieme alla moglie, nella fornace si era gettato anche il maestro.
b) Il sacrificio richiesto dal viandante al figlio di Kan Chiang ricorda l’espediente usato dal guerriero Senza Nome per poter avvicinare il Re di Qin nel bellissimo film Hero di Zhang Yimou.

mercoledì 19 agosto 2009

GO(D)Ssip - E tu dove vai in vacanza?

Agosto, moglie mia non ti conosco... vale anche per gli dei?

Infatti non dobbiamo pensare che un compito stressante come quello di gestire poteri incommensurabili sia un lavoro a tempo pieno.
Forse che Superman, il più grande mito dei nostri giorni, non si ritira ogni tanto nella sua Fortezza della Solitudine per rilassarsi un po?

Allo stesso modo anche gli antichi dei qualche volta si prendono una pausa e vanno nei loro posti preferiti, a rilassarsi e a godersi ciò che la vita immortale permette.

In uno dei post precedenti abbiamo già accenato alla strana coppia del Nord, il marino Njordhr e la montanara Skadhi, separati dalle rispettive passioni per il mare e la montagna; anche se in questo caso, più che di vacanza, si può parlare di vita quotidiana.
Così il Vanir Njordhr si rilassa ad ascoltare il suono dei gabbiani e delle buccine sulle rive del porto di Nòatùn, dove le acque modellano i suoi piedi bellissimi, mentre la gigantessa Skadhi si ritira al fresco delle nevi eterne di Thrymheim, dove si allena allo sci (di fondo) e alla caccia con il suo infallibile arco.

Più a sud, gli dei greci, da buoni mediterranei, avevano un concetto di vacanza più simile al nostro: ogni tanto bisogna staccare dal proprio gravoso compito e darsi al godimento di piaceri.
Quale cosa migliore del ritirarsi in posti a noi cari dove nessuno ci disturba?

Così Febo Apollo ogni diciannove anni si reca presso gli Iperborei, nel paese "al di là del Vento del Nord" (George MacDonald imitante), dove il clima è temperato e la terra dà due raccolti l'anno.
Lì ci giunse per la prima volta giovanetto, sul suo carro trainato dai cigni, e ogni volta che ci torna, nel periodo tra l'equinozio e l'alzarsi delle Pleiadi, canta inni accompagnandosi con la lira.
Pare che l'origine della passione di Apollo per la terra degli Iperborei, riveli quanto sia mediterraneo e mammone il nostro dio! Infatti Febo scelse questo luogo... perchè era la terra dove era nata mammà Leto.
Insomma: il classico emigrante di seconda generazione che torna a fare le vacanze al paesello di famigghia.


Afrodite Citerea, nata dalla spuma del mare, predilige Cipro, la terra dove è particolarmente venerata. Lì si rifugia ogni volta che succede qualcosa di spiacevole: ad esempio dopo che il geloso marito deforme Efesto la catturò in una rete assieme al suo amante Ares, e la espose al ludibrio degli dei.

Le vacanze possono essere anche occasioni di trastullo gastronomico: Poseidone si reca ogni tanto presso gli Etiopi, che pare facciano dei sacrifici particolarmente succulenti. Quando è impegnato in queste degustazioni probabilmente non vuole essere disturbato per nessuna ragione.
Omero racconta che, in una di queste vacanze, Odisseo si mise in viaggio per tornare in patria. E sì che era in un periodo in cui i suoi rapporti col dio del mare erano per lo meno tesi... però Poseidone era impegnato, l'abbiamo detto, e così il re di Itaca potè sfuggire allo sguardo della divinità irata e giungere dall'isola di Ogigia quasi fino alla terra dei Feaci. Ma Poseidone, di ritorno dalla mangiata, si accorse di questa navigazione e gli scatenò conto una tempesta che fece naufragare l'eroe.
Forse quella volta aveva digerito male.

Anche gli dei possono approfittare delle vacanze per qualche restyling estetico.
Solo che, essendo divinità, non ricorrrono alla banale chirurgia estetica: Era, la regina dell'Olimpo, si immerge regolarmente alla fonte di Canato, presso Argo, e così, ogni volta che fa queste abluzioni, recupera la sua verginità.
Rapido, veloce, perfetto: altro che celebrity bisturi!